Ripubblichiamo questo articolo in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne
Il 25 novembre 1960 Minerva, Patria e Maria Teresa furono vittime di una imboscata da parte dei servizi segreti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo, mentre erano a bordo di una jeep con l’inganno di poter rivedere i rispettivi mariti. “Las Mariposas” -nome in codice delle tre sorelle Mirabal- furono picchiate, violentate e gettate in un fosso il giorno della loro cattura. Con il tempo il dittatore Trujillo perse sempre di più potere e fu assassinato nel 1961. L’opinione pubblica fu scossa da quel tragico evento, al punto che le tre sorelle divennero icona e simbolo di forza e resistenza.
Come ogni anno, dal 25 novembre fino al 10 di dicembre si svolge una campagna improntata alla sensibilizzazione contro la violenza di genere. I 16 giorni consecutivi di attivismo per promuovere la salvaguardia e l’eliminazione di tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze culminano il 10 dicembre in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani. Ciò sottintende l’assunto che la violenza di genere costituisce una grave violazione dei diritti umani.
Obiettivo: generare nei giovani, e non solo, più consapevolezza del valore della donna
Il Consiglio d’Europa, forte del suo ruolo propulsivo come garante del rispetto dei diritti dell’uomo, ha adottato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica ( c.d. Convenzione di Istanbul). Adottata l’11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 14 agosto di 3 anni dopo, la Convenzione viene considerata come lo strumento giuridico più potente di cui disponiamo, volto a prevenire e combattere la violenza contro le donne.
Le supposizioni arbitrarie e la disinformazione che permeano la Convenzione devono essere scardinate: non deve essere interpretata come uno strumento che impone schemi tradizionalisti in cui confinare sia uomo sia donna ma neppure la si può intendere come un “pericolo” che potrebbe minare il sostrato sociale e i valori della nostra società. Anzi, essendo la Convenzione il portato storico di lunghi negoziati che hanno visto coinvolti diversi Paesi Membri del Consiglio d’Europa, l’ articolo 1 della stessa si prefigge l’obiettivo di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, proteggere le donne contro queste forme di violenza e perseguirne gli autori. Se è vero che la Convenzione suddetta costituisce la chiave di volta a cui richiamarsi ai fini della regolamentazione giuridica di un crimine che si dipana nella sfera intima, nondimeno, a livello pratico, i dati fattuali sono totalmente diversi. La violenza di genere, purtroppo, continua a espandersi, si insinua subdolamente in svariati ambiti personali e professionali, non arresta la sua corsa. Come molti esponenti politici stanno ora sottolineando, forse in modo tardivo, per estirpare le radici di questo male servirebbe una profonda revisione dei sistemi educativi, sia in famiglia, sia nella scuola, sia nella società nel suo complesso. Bisogna puntare sulla prevenzione, non sulla mera repressione, occorre eliminare le cause di erronei convincimenti di prevaricazione di genere che hanno cause ataviche. Le nuove generazioni devono avere consapevolezza del valore della donna ma non solo nelle enunciazioni teoriche che rimangono esercizi sterili, quanto piuttosto nei rapporti quotidiani. I proclami e le dichiarazioni di principio non cogenti quindi non bastano se non si parte dal basso o, meglio, dal rispetto del valore umano e della individualità di ciascuno. A questo si devono accompagnare norme e sentenze esemplari, che diano spazio alla parità sostanziale nella famiglia, nel lavoro, nella società e puniscano severamente ogni forma di violenza di genere, psicologica e fisica. In questo quadro va salutata con favore l’approvazione definitiva in data 22 novembre scorso, ad opera dei due rami del Parlamento, del disegno di legge c.d. Roccella, che rafforza gli strumenti di prevenzione già presenti nel codice rosso (legge n. 69 del 2019) per la tutela delle vittime di violenza di genere, potenzia le misure cautelari anticipando anche la soglia della tutela penale, assicura la speditezza dei procedimenti penali che riguardano reati di violenza di genere e domestica. Un altro importante tassello che va nella giusta direzione è la sottoscrizione, sempre in data 22 novembre 2023, del protocollo d’intesa tra l’Associazione Doppia difesa Onlus e i rappresentanti apicali del Consiglio dell’Ordine dei Consulenti del lavoro che tende a favorire l’inclusione nel mondo del lavoro delle vittime di questa odiosa e ignobile forma di violenza. In sostanza, questa intesa muove dalla considerazione che anche l’indipendenza economica della donna sia un baluardo contro le prevaricazioni. Nello stesso filone va annoverata anche la previsione di un assegno di inclusione a favore dei nuclei familiari che abbiano un componente fragile e che sia inserito in un percorso di protezione relativo alla violenza di genere.
Anche il mondo cinematografico mette in luce tale delicato tema. Il film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani” ne è l’esempio più recente. L’attualità del film è un ottimo viatico, per noi tutti, per lanciare un messaggio formativo; si sa che anche il cinema e i media sono veicolo di messaggi che possono essere impressi nella nostra mente e fornirci impliciti esempi ed insegnamenti. L’esempio risalente di Delia come donna, moglie, madre, vittima della società patriarcale in cui vive non è, purtroppo, tanto dissimile dalla nostra società odierna. Questo è l’appello infatti dell’attrice e regista; soffermarsi di più sulla parità di genere. Come succede nel film, ancora oggi la mascolinità tossica e i soprusi di genere non risparmiano le donne. L’unica via di salvezza è quella dell’audacia e la forza d’animo di ribellarsi e avere il coraggio di cambiare le cose, compiendo piccoli ma effettivi passi, magari uno alla volta, ma convergenti verso la stessa meta.
Noi non possiamo e non dobbiamo, né come autori, né come testata, trovare o fornire soluzioni; ciononostante il posizionamento personale e professionale risulta essere non solo un esercizio di trasparenza e tutela nei confronti dei lettori, ma uno strumento di analisi ed interpretazione della realtà. Così, nell’affrontare questo tema e possibili interventi in materia, è necessario posizionarsi: affermando e ricordando che solo soluzioni sistemiche possono rispondere a problemi sistemici.
Oltre a essere sistemiche, tali risposte dovranno essere culturali. E il sottolineare che tutta questa riflessione sia da leggere, studiare ed affrontare (anche) sul piano delle scienze sociali e culturali e con le loro categorie, non significa derubricarla ad altri contesti o ancora declassarla ad un livello d’azione basso ed informale. Significa bensì il riconoscere il fondamentale impatto e l’influenza che la cultura ha sulla violenza di genere, sul linguaggio sessista, sulla società patriarcale intesa nel suo insieme, sulla fattispecie dei femminicidi, sull’iniquità di genere nel mercato del lavoro e nei sistemi economici e su altri – troppi – temi in materia.
Dunque le risposte culturali e sistemiche, dopo aver trovato una loro connotazione epistemologica e metodologica, necessitano dell’identificazione del termine, del destinatario di tali risoluzioni. L’uomo. Non l’essere umano, ma l’uomo.
L’uomo è il solo e unico termine di queste proposte, che sono per tutte e tutti, sono frutto di narrazioni plurali, di processi decisionali condivisi e partecipativi, ma sono solo per loro, per gli uomini.
Perciò per loro bisogna riportare il discorso transfemminista e contro la violenza di genere da una dimensione personale ad una collettiva, per far comprendere la sistematicità e la sistemicità del tema. Per loro è necessario modificare la retorica della colpevolizzazione emotiva e individuale, per creare in loro l’autocoscienza della propria identità individuale e collettiva al fine di attuare azioni per diffondere consapevolezza e conoscenza in materia. Per loro e con loro è fondamentale sradicare la retorica evasiva del “non tutti gli uomini” e riconoscere le dinamiche di genere in materia. Per loro è obbligatorio essere educati ad una sensibilità personale e collettiva nuova, finalmente libera dalle norme patriarcali e della ciseteronormatività.
Per loro è necessario capire che nessuna sta domandando di chiedere scusa, stanno chiedendo di unirsi alla lotta.
In tale scenario l’educazione sessuo-affettiva, intesa come processo sistematico e critico da attuare nelle scuole e nei luoghi della formazione, è l’unica via. L’unica di tante, ma sicuramente l’unica. L’unica se davvero vogliamo riconoscere alla scuola un valore e un ruolo cardine nella formazione e per “il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Ma in questa proposta – avanzata dalla quasi totalità delle realtà politiche, civili e sociali femministe e transfemministe – come in molte altre, non bisogna essere tratti d’inganno dalla millantata giovinezza di tali proposte; caratteristica che con sé porta un giudizio negativo o quantomeno critico nei confronti della proposta stessa. Invero la prima proposta per istituire un percorso di educazione sessuale e affettiva nelle scuole risale al 13 marzo del 1975, per volontà del deputato del Partito Comunista Italiano Giorgio Bini, che presentò una proposta di legge titolata “Iniziative per l’informazione sui problemi della sessualità nella scuola statale”.
Così, anche le altre proposte che oggi si articolano come validi interventi educativi, formativi o informativi in materia, non sono dei tentativi autonomi, infondati o addirittura utopici, ma sono i risultati di processi storico-culturali, che si articolano, trasformano ed evolvono nella storia mutando di forma e significato.
Articolo scritto a quattro mani, a cura di Aurora Rubino e Emilio Zanzi
Fonti
- Consiglio d’Europa : https://www.coe.int/it/web/portal/25-november-against-domestic-violence
- Senato della Repubblica: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/0/750635/index.html?part=dossier_dossier1-sezione_sezione2-h2_h22
- Consulenti del lavoro.it : https://www.consulentidellavoro.it/home/storico-articoli/17188-consulenti-del-lavoro-e-doppia-difesa-insieme-contro-la-violenza-di-genere
- J. Harris, V. White, A Dictionary of Social Work and Social Care, 2018.J. Piaget, Pedagogia strutturalista, 1982.
- L. S. Vygotskij, Psicologia e pedagogia, 1969.
- Educazione alla sessualità sconosciuta, eppure renderebbe la società più sana (asvis.it)
- L’educazione sessuo-affettiva in Italia è ancora un tabù: un festival a Roma per parlarne – la Repubblica
- Foto di Espressolia da Pixabay: https://pixabay.com/it/photos/grafico-tacchi-alti-rosso-scarpe-2086260/
1 Per ciseteronormatività – dove cis sta per “qui”. “da questa parte”, ovvero il contrario di trans, etero indica l’orientamento sessuale e normatività significa “avere valore di norma” – si intende la convinzione secondo cui l’eterosessualità sia l’unico orientamento sessuale esistente nella gestione della sessualità e che l’identità di genere debba necessariamente corrispondere con il sesso biologico. “This concept denotes the assumption that the sexes are binary, divided into female and male, with complementary roles, and that this is a given, fixed state in accordance with which one should act. Heteronormativity as a concept has come to the fore as part of queer debates about the structures of social relations and identities and what is permitted to be articulated or not. Heteronormativity works to suppress gender diversity and to reinforce heterosexuality” J. Harris, V. White, A Dictionary of Social Work and Social Care, 2018, p. 76.
2 Intendendo come luoghi della formazione non solo quelli atti all’apprendimento formale, come la scuola o l’università, ma anche gli scenari e i momenti volti all’apprendimento informale e a quello non formale (cfr. J. Piaget, Pedagogia strutturalista e L. S. Vygotskij, Psicologia e pedagogia).
3 Giorgio Bini (Genova, 1927 – 2015) è stato un politico italiano e docente, scrisse diverse opere nel settore della pedagogia scolastica e dell’educazione sessuale.