Che cosa è Schengen?
Lo Spazio Schengen è una delle vittorie del progetto europeo. L’accordo firmato il 14 giugno del 1985, nella omonima cittadina di Schengen, in Lussemburgo, da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, è stato completato il 19 giugno del 1990, con la Convenzione di attuazione Schengen, entrata in vigore nel 1995, che costituisce – in combinato disposto con l’Accordo Schengen – il nocciolo duro dell’acquis Schengen, cioè dell’insieme di diritti e di obblighi comuni integrato nei sistemi giudiziari degli Stati membri dell’Unione.
Nella sostanza Schengen realizza un vero cambio di impostazione, perché a partire da quel momento la libertà di circolazione all’interno dell’UE si è materializzata nell’abolizione dei controlli dei documenti alle frontiere. L’acquis di Schengen comprende 27 paesi: 23 Stati membri e 4 paesi extra-UE l’Islanda, la Norvegia, la Svizzera e il Liechtenstein. La Bulgaria, Cipro, la Romania e l’Irlanda che, ha esercitato l’opzione di non partecipazione, non ne fanno parte, mentre la Croazia dal 1 gennaio 2023 è entrata a far parte dell’area Schengen.
Con l’accordo gli Stati aderenti si impegnano a rimuovere ogni ostacolo alla libera circolazione di mezzi e di persone con la finalità principe di eliminazione dei controlli alle frontiere interne e alla rimozione delle barriere doganali. L’unica frontiera resta quella esterna all’area; peraltro sono state “armonizzate” le regole e le procedure comuni in materia di visti, soggiorni brevi, richieste di asilo e controlli alle frontiere. Anche dal punto di vista economico, l’Accordo e la Convenzione di Schengen sono integrati dal 1999 a tutti gli effetti nel quadro dell’Unione europea grazie a un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam. Le relative previsioni contribuiscono a produrre notevoli vantaggi a favore di tutti i cittadini e di tutte le imprese degli Stati partecipanti. In che modo? L’abbattimento delle frontiere interne concorre a creare una rete in cui i Paesi coinvolti hanno una maggiore dinamicità e flessibilità negli scambi commerciali. Contestualmente è stata potenziata la cooperazione tra i servizi di polizia, compresi i diritti di osservazione e di inseguimento transfrontaliero e tra le autorità giudiziarie, mediante un sistema di estradizione più rapido.
Perché oggi giorno il quadro sta mutando?
Il Trattato Schengen, negli ultimi giorni, è stato oggetto di un’ampia analisi da parte di 11 Stati, i quali hanno cambiato improvvisamente rotta rispetto alla originaria finalità di Schengen. Difatti la situazione è critica in tutta Europa, soprattutto a fronte dell’ultimo tragico evento che ha caratterizzato il MedioOriente. Si aggiunge, a complicare la situazione, il fronte balcanico dal quale transitano illegalmente migliaia di clandestini. La situazione bollente cosi creatasi è stata inevitabile anche per il nostro paese, il quale ha ribadito più volte come l’irrobustimento dei controlli con la Slovenia consista non in un depotenziamento di uno dei pilastri dell’UE, simbolo dell’integrazione europea, bensì in una prevenzione necessitata a fronte dello scenario che stiamo attraversando. D’altro canto non è nuovo per l’Europa il ripristino dei controlli alle frontiere; infatti molti paesi dell’Ue hanno deciso di ripristinare i controlli alle frontiere tra il 2020 e il 2022 nel contesto del Covid-19 e, ancor prima, nel 2015 a seguito dell’ondata di flussi migratori e attacchi terroristici. Per questa ragione tale strumento deve essere esperito solamente in condizioni di extrema ratio.
Il Codice Schengen consente agli Stati membri di ripristinare i controlli ad alcune frontiere interne in circostanze eccezionali che mettono a rischio il funzionamento globale dello spazio Schengen. Il Consiglio, sulla base di una proposta della Commissione europea, può raccomandare a uno o più Stati membri di ripristinare i controlli alle frontiere. Non da ultimo, anche in caso di minaccia grave, il Codice frontiere Schengen stabilisce che gli Stati membri possono ripristinare temporalmente i controlli alle frontiere per rispondere a una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna. In questo caso lo Stato membro deve notificare la sua intenzione alla Commissione e agli altri paesi UE almeno 4 settimane prima del ripristino del controllo.
Ciò detto, per tornare al titolo provocatorio di questo breve contributo, proviamo a riflettere se, nel bilanciamento degli obiettivi, la sospensione abbia una sua forte ragion d’essere in questo difficile momento politico, in cui la sicurezza del nostro Stato – come di molti Paesi europei- è messa a dura prova dalla minaccia terroristica.
Come sottolineato da Palazzo Chigi, per quanto riguarda l’Italia “le modalità di controllo saranno attuate in modo da garantire la proporzionalità della misura, adattate alla minaccia e calibrate per causare il minor impatto possibile sulla circolazione transfrontaliera e sul traffico merci”.
La temporaneità e il richiamo alla proporzionalità nell’applicazione delle misure di controllo ci porta a dire che la scelta va monitorata con attenzione. Nel lungo periodo e, a parte le deroghe motivate, va da sé che sui principi di Schengen non si può fare retromarcia. Di questo siamo tutti consapevoli.
A cura di Aurora Rubino
Fonti
Consiglio europeo: https://www.consilium.europa.eu/it/policies/schengen-area/
Senato della Repubblica: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/0/1022061/index.html?part=dossier_dossier1-sezione_sezione3
“Elementi di Diritto dell’Unione Europea” di Adelina Adinolfi e Claudia Morviducci, G. Giappichelli Editore
Foto di Annette da Pixabay (https://pixabay.com/it/photos/treno-trasporto-inverno-stagione-3758523/)