Nell’ultima settimana, ogni volta che sentivo nominare la questione dei dazi non riuscivo a non andare con il pensiero alla celebre fiaba di Hans Christian Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore, in cui due truffatori si fingono sarti per vendere all’imperatore un vestito speciale, invisibile per gli stolti e visibile solo agli intelligenti, da indossare alla sfilata di fronte ai sudditi. Il vestito è fatto vedere, per essere giudicato anche a ministri e consiglieri, i quali, per paura di risultare indegni del loro rango decantano al loro sovrano la bellezza al di questo vestito che in realtà non esiste. L’imperatore, che non vede il vestito, non vuole apparire stolto e si associa alla finzione.
Arrivato il giorno del corteo, il re sfila nudo sul baldacchino mentre i sudditi, sapendo dell’incantesimo intorno al vestito, lodano gli abiti. Solo un bambino, dal fondo della folla innocentemente dice: “il Re è nudo!” e mentre tutti si rendono conto che il bambino ha detto la verità, l’imperatore ancora più impettito fa finta di sfoggiare il suo ricco abito.
La fiaba si presta bene a metafora della vanità del potere e della ipocrisia di coloro che pur di rimanere accanto ai potenti, preferiscono assecondarli piuttosto che dirgli delle scomode verità. Nella speranza di non dover spiegare al pubblico di questo articolo i danni e la completa irragionevolezza delle decisioni di Trump, quello che è successo alla Casa Bianca negli utlimi giorni rientra a pieno nel topos della fiaba di Andersen, che attraversa le epoche storiche. Lo fa, però, con una deludente differenza, nessuno sembra aver denudato il Re.
Il Re non è nudo non solo perché la nuova amministrazione Trump è una cerchia magica di yes-men e yes-women, spesso poco competenti nelle loro materie, ma fedelissimi e sostenitori di teorie poco supportate ma vicine alle posizioni personali del Presidente. Il Re non è nudo perché, nonostante alcuni giorni in cui “il mondo ha cercato di dire a Trump che il matto è lui” con banchieri, manager ed esperti hanno cercato di spiegargli le reali conseguenze dei dazi, rese evidenti dal crollo dei mercati, la sua popolarità tra gli elettori repubblicani non sembra essere calata.
Secondo l’ultimo sondaggio di YouGov, il 72% degli elettori Repubblicani si dice d’accordo con i dazi, una percentuale che sale all’81% tra i sosenitori MAGA. In un Paese spaccato come l’America, tenere unita la base su una questione così evidentemente demenziale è una prova di non-nudità fin troppo evidente.
Il re è folle?
Se non è quella del Re nudo, la metafora che si addice a questi giorni è probabilmente quella del Re folle, così definita dal divulgatore Noah Smith e raccontata da diversi giornali americani in alcuni pezzi che lascio in bibliografia.
Il Presidente sta probabilmente agendo sulla base di visioni economiche strettamente personali. Secondo un libro di Bob Woodward, famoso giornalista del Washington Post, durante la sua prima amministrazione Trump ti si scontrava spesso con l’allora consigliere economico Gary Cohn, perché sosteneva teorie economiche bizzarre e aveva una visione antiquata dell’economia americana. Trump ritiene gli USA una potenza industriale e manifatturiera, cosa che non è più perché si è evoluta verso altri settori, e l’introduzione dei dazi sarebbe funzionale a spingerla verso un ritorno alla manifattura.
Allo stesso tempo, nessuno sa veramente cosa voglia fare Trump. Alcuni funzionari hanno confidato a Politico come molte delle decisioni di Trump sui dazi siano quasi umorali, non preannunciate neanche agli stessi membri dell’amministrazione né ai senatori Repubblicani, non illustrate in obiettivi, entità e durata.
Quella del Presidente non sembra essere una accurata strategia negoziale nè economica, anzi. Le stesse spiegazioni che i vari Segretari, portavoce e sostenitori tentano di dare delle mosse di Trump, non solo si scontrano con la realtà, ma finiscono anche con il risultare incoerenti tra loro. Scrive il The Atlantic:
Da un lato, c’è Peter Navarro, storico collaboratore di Trump, secondo cui i dazi imposti dall’ex presidente genereranno 6.000 miliardi di dollari di entrate nel prossimo decennio, configurandosi come il più grande aumento fiscale nella storia degli Stati Uniti. Dall’altro, esponenti del mondo tech vicini a Trump, come Palmer Luckey, sostengono invece che l’obiettivo sia diametralmente opposto: creare un mondo di libero scambio totale, in cui i paesi eliminano le barriere commerciali esistenti per evitare le nuove sanzioni. E ancora, su un altro fronte, c’è Stephen Miran, presidente del Council of Economic Advisers, che descrive l’offensiva dei dazi come parte di un piano strategico per riequilibrare il rapporto dell’America con l’economia globale, svalutare il dollaro e rilanciare l’occupazione manifatturiera negli Stati Uniti.
Questi tre obiettivi dichiarati — aumentare le entrate fiscali, ripristinare il libero scambio e riconfigurare l’economia globale — sono tra loro incompatibili. Le prime due spiegazioni si escludono a vicenda: lo Stato non può aumentare stabilmente le entrate fiscali attraverso un’imposta concepita per svanire. Anche la seconda e la terza si contraddicono: non si può reindustrializzare puntando tutto sul libero mercato globale che, secondo molti, ha causato il declino della Rust Belt. O il libero scambio globale è un Valhalla economico da difendere a ogni costo, oppure è l’ordine politico maledetto che stiamo cercando disperatamente di abbattere.
Probabilmente il migliore riassunto della situazione viene da Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia che in una intervista al NY Times ha detto: «Per sostenere l’idea che ci sia un grande piano o una strategia segreta bisogna ignorare forzatamente quello che sta succedendo per davvero».
Hanno rivestito il Re, prima che il bambino parlasse
La sospensione di 90 giorni su buona parte dei dazi imposti pochi giorni prima sembra quindi un tentativo di vestire il Re, anche con il primo straccio trovato nel palazzo, prima che l’economia americana avvertisse gli effetti devastanti dei dazi, cioè prima che il bambino parlasse.
Sebbene i suoi collaboratori hanno cercato di presentare la decisione come una strategia geniale («Era il piano fin dall’inizio», ha detto il segretario al Tesoro Scott Bessent, «Avete appena assistito alla più grande strategia economica mai realizzata da un presidente americano», ha detto il consigliere di Trump Stephen Miller), i retroscena ancora una volta parlano di un paziente lavoro di persuasione da parte di alte cariche istituzionali e di collaboratori, per convince Trump a tornare sui suoi passi.
L’aspetto più tragicomico della vicenda è che, come riassunto da Il Post:
Dopo i primi giorni di crolli sui mercati, però, Bessent e Lutnick hanno capito che lo shock di breve durata sarebbe potuto andare avanti per mesi, provocando una recessione. Domenica Bessent ha cominciato a parlare con Trump della possibilità di rimodulare i dazi, facendo leva sulla sua vanità da negoziatore: gli ha detto che nessuno era più bravo di lui a stringere affari, e che decine di paesi del mondo erano pronti a trattare con gli Stati Uniti per ridurre lo squilibrio commerciale.
In pratica, sembra che Trump non abbia cambiato idea perché convinto dalle spiegazioni economiche che descrivevano la sua scelta come totalmente infondata, ma piuttosto perché sia stato convinto che la sua mossa abbia funzionato anche meglio di quanto da lui previsto.
Il Re Sole?
Il resoconto che arriva dalle stanze della Casa Bianca è impietoso e quindi preoccupante. Le vite di moltissime persone nel mondo dipendono dall’umore e dall’ego di una persona, i cui gesti inconsulti e imponderati non riescono a essere arginati.
Racconti del genere potrebbero tranquillamente giungere dalle corti dei sovrani assoluti del XVII secolo, in cui non esistevano limiti scritti al potere del Re, se esistevano, non erano rispettati (si veda come sono state calpestate le leggi sull’immigrazione e le sentenze dei giudici statali nell’ultimo mese).
E se negli USA di oggi il sovrano non è visto come legittimato da Dio, poco ci manca. Una larga parte di sostenitori MAGA assegna a Trump caratteristiche messianiche e vede in lui un messaggero divino. Non a caso, “fidatevi del Presidente” è stato tutto ciò che la Casa Bianca è riuscita a dire ai mercati che crollavano. Per la serie non è Trump che deve capire l’economia, ma l’economia che deve capire l’infallibile Trump.
Per ciò che ci riguarda, speriamo che gli americani capiscano che la combinazione di una persona con un inesistente senso di responsabilità legato alla gestione del potere, un assetto istituzionale che prevede numerosi poteri nelle mani del Presidente con pochissimi contrappesi e di una cerchia di consiglieri compiacenti rischia presto di diventare una tempesta perfetta.
di Alessandro Ceschel
https://www.ilpost.it/2025/04/10/trump-ceduto-dazi/
https://www.ilpost.it/2025/04/08/trump-dazi-motivazioni-piani/
https://www.nytimes.com/2025/04/09/us/politics/trump-tariff-pause-be-cool.html
https://www.nytimes.com/2025/04/05/opinion/ezra-klein-podcast-paul-krugman.html
https://www.theatlantic.com/politics/archive/2025/04/tariffs-trump-outcomes-incompatible/682286/
https://www.noahpinion.blog/p/the-latest-episode-of-mad-king-trump
https://www.politico.com/news/2025/03/29/trump-aides-tariffs-liberation-day-fears-00259081
https://www.theguardian.com/us-news/2025/apr/10/trump-tariffs-retreat-analysis
https://today.yougov.com/politics/articles/51986-donald-trump-declining-popularity-tariffs-third-term-the-economy-april-5-8-2025-economist-yougov-poll