Myanmar – Un paese travolto dalla guerra civile

Da decenni, il Myanmar è teatro di un conflitto che affonda le sue radici nella storia coloniale e nelle tensioni etniche. La presa di potere militare del 2021 ha riportato il paese in una spirale di violenza e repressione, mentre la resistenza civile e le milizie etniche continuano a combattere per un futuro democratico.

Myanmar, un tempo conosciuto come Birmania, è diventato l’epicentro di una delle guerre civili più devastanti dell’Asia.. Questo paese del Sud-est asiatico, con una storia complessa di divisioni etniche e aspirazioni democratiche, è sprofondato in una crisi profonda dopo il colpo di stato militare del 2021. Con oltre 135 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti, il Myanmar si trova oggi al centro di un conflitto che affonda le sue radici nella storia coloniale e nelle tensioni etniche. I militari hanno rovesciato il governo democraticamente eletto, innescando una violenta repressione contro il popolo e scatenando un conflitto armato su larga scala.

Le radici del conflitto

Il conflitto in Myanmar affonda le sue radici in un intreccio complesso di storia coloniale, divisioni etniche e lotte politiche. Per comprendere l’origine della guerra civile attuale, è fondamentale esaminare il periodo coloniale britannico, l’indipendenza del Myanmar e il suo percorso politico turbolento.

Periodo coloniale e politiche di divisione etnica

L’occupazione britannica del Myanmar ebbe inizio nel 1824, a seguito delle guerre anglo-birmane, e si protrasse fino all’indipendenza nel 1948. Durante il dominio coloniale, la politica del “divide et impera” attuata dagli inglesi esacerbò le tensioni etniche all’interno del paese. La strategia britannica favorì l’etnia birmana, concentrata nelle pianure centrali, e alienò molte delle minoranze etniche, come i Karen, i Kachin, i Shan e i Rohingya, che abitavano le regioni periferiche del paese. Gli inglesi reclutarono molti membri delle minoranze etniche nei ranghi delle forze di sicurezza coloniali, alimentando sentimenti di risentimento tra i birmani, mentre le élite birmane furono spesso escluse dalle posizioni di potere.

Questo sistema coloniale creò divisioni profonde all’interno del Myanmar, piantando i semi di conflitti interni che esplosero subito dopo l’indipendenza. I leader nazionalisti birmani, come Aung San (padre di Aung San Suu Kyi), si batterono per l’indipendenza e cercarono di unire il paese. Tuttavia, la frammentazione etnica e la mancanza di fiducia tra le comunità minoritarie e il governo centrale resero estremamente difficile la costruzione di una nazione unificata.

Indipendenza e instabilità politica

Il Myanmar ottenne l’indipendenza nel 1948, ma il nuovo stato nazione era già segnato da gravi tensioni. Le promesse fatte dal leader indipendentista Aung San, assassino poco prima dell’indipendenza, di concedere autonomia alle minoranze etniche non furono mantenute dai governi successivi. Ciò alimentò ribellioni armate da parte di diverse etnie che chiedevano maggiore autonomia o addirittura la secessione.

L’instabilità politica interna portò a una serie di ribellioni etniche contro il governo centrale dominato dai birmani. Questo periodo vide l’emergere di gruppi ribelli come l’Esercito di Liberazione Karen (KNLA) e l’Esercito di Stato Shan (SSA), che chiedevano una maggiore autonomia politica per le loro regioni o, in alcuni casi, l’indipendenza completa. Questi gruppi armati erano motivati dalle profonde disuguaglianze economiche e politiche che affliggevano le minoranze etniche, aggravate dalle politiche centralizzate del governo birmano.

La presa del potere militare nel 1962

Le tensioni politiche culminarono nel 1962, quando il generale Ne Win prese il potere attraverso un colpo di stato militare, instaurando un regime socialista autoritario. Ne Win dissolse il governo democraticamente eletto e impose il controllo militare, nazionalizzando gran parte dell’economia e instaurando una politica isolazionista che avrebbe portato il Myanmar in un periodo di stagnazione economica e isolamento internazionale. Il regime militare si presentò come un baluardo di unità nazionale, ma in realtà aggravò ulteriormente le divisioni etniche e politiche. Il suo governo fu caratterizzato dalla repressione delle minoranze etniche e dalle brutalità nei confronti dei ribelli.

Sotto il regime di Ne Win, i conflitti etnici si intensificarono. I gruppi ribelli nelle regioni di confine, come i Karen, i Kachin e i Mon, continuarono a resistere alle forze governative, mentre la popolazione subiva un crescente impoverimento. La guerra civile tra l’esercito del Myanmar e questi gruppi etnici ribelli divenne una costante della vita del paese, con numerosi cessate il fuoco temporanei che però raramente portavano a una pace duratura.

Il ruolo delle minoranze etniche

Il Myanmar è uno dei paesi più etnicamente diversificati del mondo, con oltre 135 gruppi etnici riconosciuti ufficialmente. Molte delle minoranze etniche vivono nelle aree periferiche del paese, in regioni montuose o di confine, e hanno tradizionalmente goduto di un alto grado di autonomia culturale e politica. Tuttavia, l’indipendenza e la centralizzazione del potere da parte dei birmani hanno causato profonde fratture all’interno del paese. Molte minoranze etniche, come i Karen, i Shan, i Kachin e i Chin, hanno rivendicato una maggiore autonomia o addirittura la secessione dallo stato birmano.

I Karen, in particolare, hanno combattuto uno dei conflitti etnici più lunghi al mondo, iniziato subito dopo l’indipendenza. Le loro richieste di autonomia sono state sistematicamente ignorate o represse dal governo centrale. Lo stesso vale per altri gruppi etnici che, sentendosi marginalizzati, hanno preso le armi contro il governo centrale, contribuendo all’instabilità cronica del paese.

Le aperture democratiche e le nuove tensioni

Dopo decenni di dittatura militare, negli anni 2000 si avviarono timide aperture democratiche. Nel 2010, il governo militare iniziò un processo di riforme che culminò con le elezioni del 2015, vinte in modo schiacciante dalla Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) di Aung San Suu Kyi. Tuttavia, nonostante queste aperture, i militari mantennero il controllo su settori cruciali dello stato grazie a una costituzione che riservava loro il 25% dei seggi in parlamento e il controllo di ministeri chiave come la difesa, gli affari interni e le frontiere.

 

Il colpo di stato del 2021

Nonostante una serie di aperture democratiche a partire dal 2010, che portarono alle prime elezioni libere nel 2015, il controllo militare non è mai cessato del tutto. La costituzione del 2008, infatti, riservava ai militari un’influenza significativa, garantendo loro il controllo di ministeri chiave e il 25% dei seggi parlamentari. Il Partito della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) di Aung San Suu Kyi vinse comunque le elezioni del 2015 e quelle successive del 2020 con una maggioranza schiacciante.

Ma il successo elettorale dell’NLD non fu accettato dai militari. Il 1º febbraio 2021, l’esercito, guidato dal generale Min Aung Hlaing, attuò un colpo di stato, arrestando Aung San Suu Kyi e molti altri membri del governo. La giunta militare giustificò l’azione affermando presunte irregolarità elettorali, che però non furono mai dimostrate. Il risultato? Il ritorno a un regime militare rigido e brutale, che ha scatenato una reazione popolare senza precedenti. Il paese cadde nuovamente sotto un regime militare rigido e brutale, scatenando una vasta reazione popolare.

 

La resistenza civile e la guerra civile

Il colpo di stato militare del 1º febbraio 2021 ha segnato un punto di svolta nella storia del Myanmar, non solo per la brutale repressione che ne è seguita, ma anche per la risposta straordinaria della popolazione. Milioni di cittadini, inclusi lavoratori, studenti, impiegati pubblici, medici e insegnanti, si mobilitarono in un movimento di disobbedienza civile senza precedenti. Questo movimento, denominato Civil Disobedience Movement (CDM), cercava di paralizzare le operazioni governative attraverso scioperi massicci e proteste pacifiche. La popolazione si unì in una manifestazione di resistenza contro la dittatura, chiedendo il rilascio di Aung San Suu Kyi e il ritorno al processo democratico.

Le proteste iniziarono in modo pacifico, con dimostrazioni in tutto il paese. La giunta militare rispose immediatamente con una repressione violenta. Sin dai primi giorni, le forze di sicurezza usarono metodi brutali per sopprimere le proteste: furono impiegate munizioni vere contro i manifestanti disarmati, gas lacrimogeni e idranti. Centinaia di persone furono arrestate e detenute senza processo, mentre il bilancio delle vittime tra i civili cresceva rapidamente. Amnesty International e Human Rights Watch documentarono casi di tortura, arresti arbitrari e omicidi di massa commessi dalle forze governative, evidenziando crimini contro l’umanità (Human Rights Watch, 2021).

 

La nascita delle Forze di Difesa del Popolo (PDF)

Nel corso dei mesi, la resistenza pacifica cominciò a evolversi in una resistenza armata. L’escalation di violenza da parte della giunta militare spinse molti attivisti, soprattutto giovani, a considerare l’uso della forza come unico mezzo per opporsi efficacemente alla dittatura. Il 5 maggio 2021, il governo ombra del Myanmar, il National Unity Government (NUG), formato da membri del deposto governo civile e attivisti democratici, annunciò la formazione delle Forze di Difesa del Popolo (People’s Defence Force, PDF). Questo gruppo armato divenne l’ala militare del NUG, con l’obiettivo di proteggere i civili e opporsi alle atrocità della giunta.

Le PDF raccolsero migliaia di giovani, per lo più senza esperienza militare, che ricevettero addestramento e armi da gruppi ribelli etnici. Le PDF iniziarono a condurre operazioni di guerriglia contro le forze della giunta, attaccando posti di polizia, convogli militari e installazioni governative. Le loro operazioni si concentrarono principalmente nelle regioni centrali del paese, dove la resistenza popolare era più forte, ma si diffusero rapidamente anche in altre aree.

 

Una parte cruciale della resistenza armata proveniva dalle milizie etniche, che già da decenni combattevano contro il governo centrale per una maggiore autonomia. Gruppi come l’Esercito di Liberazione Karen (Karen National Liberation Army, KNLA), l’Esercito per l’Indipendenza Kachin (Kachin Independence Army, KIA) e l’Esercito Arakan (Arakan Army, AA) rafforzarono la loro opposizione al regime militare, in alcuni casi fornendo addestramento e armi alle forze PDF. Queste milizie etniche, che controllavano ampie porzioni del territorio montano e delle regioni di confine, furono in grado di lanciare operazioni militari contro l’esercito birmano (Tatmadaw) in modo coordinato e strategico. Il conflitto si intensificò ulteriormente quando alcune di queste milizie etniche si unirono a un’alleanza con il NUG, creando una sorta di fronte unito contro la giunta. L’esercito birmano, già impegnato su più fronti, si trovò ad affrontare una guerra su vasta scala che si estendeva in molte regioni del paese. Alcune delle aree etniche come lo Stato Kachin e lo Stato Karen divennero roccaforti della resistenza armata, dove i combattenti PDF e le forze etniche collaboravano per respingere le offensive militari della giunta.

 

L’escalation della violenza e la risposta internazionale

Man mano che la guerra civile si espandeva, il Myanmar scivolò in una spirale di violenza e caos. L’esercito birmano, noto per la sua brutalità, rispose alle offensive della resistenza con attacchi indiscriminati contro i civili. Villaggi interi furono rasi al suolo, e le forze armate usarono artiglieria e attacchi aerei per reprimere i ribelli. Migliaia di persone furono sfollate e costrette a cercare rifugio nelle giungle o nei paesi confinanti, come Thailandia e India. Gli sfollati interni superarono il milione nel 2022, mentre la crisi umanitaria nel paese peggiorava rapidamente (United Nations, 2022).

La comunità internazionale ha reagito con condanne e sanzioni contro la giunta militare, ma l’impatto di queste misure è stato limitato. La Cina e la Russia, due membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, hanno mantenuto una linea di supporto nei confronti della giunta, bloccando risoluzioni più forti e continuando a fornire assistenza economica e militare. Nel frattempo, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e altri paesi occidentali hanno imposto sanzioni mirate contro i leader militari e le aziende legate alla giunta, cercando di tagliare le fonti di finanziamento del regime.

 

Il futuro del conflitto

A più di due anni dal colpo di stato, il Myanmar resta intrappolato in un conflitto senza apparente via d’uscita. L’esercito birmano controlla ancora le principali città, ma vaste aree rurali e montuose sono sotto il controllo delle milizie ribelli. La resistenza armata, sebbene non unificata e spesso frammentata, continua a rappresentare una seria minaccia per il regime, che non è riuscito a ristabilire completamente il controllo su tutto il territorio. Il futuro del Myanmar appare estremamente incerto. Il paese è lacerato da una guerra civile che coinvolge decine di fazioni e milizie, ognuna con i propri obiettivi e rivendicazioni. L’assenza di una leadership unitaria all’interno del movimento di resistenza, unita alla complessità delle dinamiche etniche, rende difficile immaginare una risoluzione rapida del conflitto. Tuttavia, il crescente isolamento internazionale della giunta e le continue perdite sul campo potrebbero, a lungo termine, indebolire il regime militare e creare uno spazio per negoziati.

 

Fonti:

  1. BBC News. (2021, February 1). Myanmar coup: Aung San Suu Kyi and other leaders detained as military seizes control. https://www.bbc.com/news/world-asia-55882489
  2. Human Rights Watch. (2021, March 24). Myanmar: Junta’s crimes against humanity. https://www.hrw.org/news/2021/03/24/myanmar-juntas-crimes-against-humanity
  3. Al Jazeera. (2021, February 1). Myanmar’s military: The organisation that runs the country. https://www.aljazeera.com/news/2021/2/1/myanmars-military-the-organisation-that-runs-the-country
  4. The Guardian. (2021, December 10). Myanmar’s ‘silent strike’ sees deserted streets in defiance of junta rule. https://www.theguardian.com/world/2021/dec/10/myanmar-silent-strike-sees-deserted-streets-in-defiance-of-junta-rule
  5. United Nations. (2022, January 10). Millions displaced in Myanmar conflict as humanitarian crisis worsens. https://news.un.org/en/story/2022/01/1109372

Foto da Pixabay: https://pixabay.com/it/photos/myanmar-birmania-paesaggio-alba-2494826/

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