Ucraina: un aiuto sempre più difficile
Negli ultimi anni, Donald Trump ha ripetutamente elogiato alcune iniziative di Vladimir Putin, in particolare quelle legate alla politica interna russa. Al contempo, non ha esitato a criticare duramente l’operato del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, con cui ha avuto non solo accese discussioni, ma anche inevitabili colloqui diplomatici. In Europa si teme che, a partire dal 6 gennaio 2025 – giorno dell’insediamento del candidato repubblicano – gli aiuti militari all’Ucraina possano cessare quasi del tutto. Tuttavia, non è detto che ciò avvenga immediatamente.
È indubbio che nei prossimi mesi le relazioni tra Stati Uniti e Ucraina peggioreranno, con Trump che eserciterà forti pressioni per una proposta di pace che potrebbe prevedere la cessione di ampie porzioni di territorio ucraino occupate dalla Russia. Al tempo stesso, è probabile che tali politiche vengano accompagnate da un aiuto continuato all’Ucraina, sebbene in forme ridotte. Ciò accade per due motivi principali: innanzitutto, i fondi già stanziati per il sostegno a Kyiv ammontano a miliardi di dollari, vincolando l’amministrazione; inoltre, tra i senatori repubblicani non manca un nucleo di sostegno alla causa ucraina, sebbene minoritario rispetto ai democratici. La linea di Trump è comunque già visibile attraverso alcune sue scelte preliminari, come la tentata nomina di Tulsi Gabbard alla guida della National Intelligence, l’agenzia responsabile del coordinamento di tutte le attività di intelligence e di sicurezza statunitensi. Gabbard è una figura controversa, nota per le sue posizioni filorusse e per aver frequentemente condiviso teorie del complotto e fake news sui social media, spesso in sintonia con la propaganda del Cremlino.
In risposta a questo scenario, l’amministrazione Biden ha accelerato decisioni che fino a poco tempo fa sembravano impensabili. Tra queste, l’autorizzazione all’uso di missili a lungo raggio contro obiettivi in territorio russo e la controversa decisione di consentire l’utilizzo difensivo delle mine antiuomo. Queste misure riflettono la volontà di rafforzare il governo ucraino prima dell’insediamento di Trump, cercando di consolidare il sostegno militare in vista di un futuro più incerto.
Anche in Europa, la percezione del rischio ha spinto i governi a prepararsi per un ruolo più autonomo e costoso nel sostegno a Kyiv. Spetterà ai Paesi europei decidere quale direzione intraprendere: continuare a fornire aiuti militari significherà affrontare spese maggiori, specialmente in vista di una probabile diminuzione del coinvolgimento americano. Il futuro dell’Ucraina, dunque, dipenderà sempre più dalla capacità dell’Europa di assumersi questa onerosa responsabilità.
Gaza: un futuro inesistente
Nella notte tra il 5 e il 6 novembre, sarebbe stato difficile trovare un Primo Ministro più felice di Benjamin Netanyahu. L’elezione di Trump rappresenta senza dubbio la migliore notizia ricevuta da lui negli ultimi mesi. A Gaza – e non solo – prosegue l’offensiva israeliana, che nell’ultimo anno ha causato decine di migliaia di vittime innocenti. In questo contesto, Netanyahu si era trovato progressivamente isolato sul piano internazionale, ma con il ritorno di Trump le cose cambieranno.
Se da un lato è vero che l’amministrazione democratica non ha mai smesso di sostenere Israele nei fatti, più volte si è fatta sentire a parole affinché la guerra terminasse. Certamente, l’incapacità di Biden di imprimere una svolta decisiva agli eventi è stata un fattore chiave nella prosecuzione del conflitto, ma una parte del Partito Democratico – sebbene minoritaria – ha sempre spinto per un cessate il fuoco, influenzando comunque il tono delle dichiarazioni del Presidente. Con il ritorno di Trump, invece, ogni forma di resistenza interna alla Casa Bianca in materia di conflitto israelo-palestinese si dissolverà: Trump darà carta bianca a Netanyahu. Del resto, la base repubblicana è fortemente filoisraeliana e islamofoba, e non c’è motivo di aspettarsi un cambiamento in questa direzione.
Un elemento particolarmente controverso è il sostegno di una parte della comunità musulmana americana al Partito Repubblicano. Nonostante l’eredità del Muslim Ban e la retorica fortemente islamofobica di Trump, alcuni elettori musulmani hanno preferito votare contro i Democratici, spesso accusati di non fare abbastanza su temi sociali e religiosi rilevanti per questa comunità. Tuttavia, questa scelta appare come un grave errore strategico: sostenendo indirettamente un leader che ha promosso politiche discriminatorie contro di loro, questi elettori si trovano ora rappresentati da un’amministrazione che li percepisce come una minaccia.
In questo scenario, l’Europa potrebbe tentare di mediare tra i Paesi arabi e Israele, ma occorre essere consapevoli che il potere di negoziazione europeo è limitato. Le uniche azioni veramente incisive a disposizione dei Paesi europei sarebbero l’imposizione di dazi sui prodotti israeliani o embarghi sulle esportazioni verso Tel Aviv. Tuttavia, si tratterebbe di mosse estremamente impopolari e non condivise da molti Paesi europei, primo fra tutti l’Italia.
I dazi americani: una spada di Damocle sul futuro italiano
Uno degli aspetti più preoccupanti per l’economia europea nei prossimi anni sono i dazi sulle merci importate negli Stati Uniti proposti da Donald Trump. I dazi, annunciati durante la campagna elettorale, erano principalmente rivolti alla Cina, principale avversario statunitense nel mercato globalizzato odierno; ma, se effettivamente attuati, colpirebbero inevitabilmente anche le merci europee che esportiamo quotidianamente.
La strategia di Trump è orientata al rafforzamento del mercato interno, con l’idea che l’isolazionismo stimolerebbe la crescita delle aziende americane e manterrebbe il volume dei traffici di merci all’interno del paese. Tra i paesi europei, il più colpito sarebbe molto probabilmente l’Italia, il cui mercato statunitense rappresenta un pilastro cruciale per le esportazioni. Secondo un rapporto dell’ISTAT, le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti hanno fruttato 67,3 miliardi di euro, una cifra che, negli ultimi anni, a eccezione del 2020, è sempre aumentata. Il peso degli Stati Uniti sull’export italiano è di circa l’11% del totale, una porzione considerevole.
I dazi farebbero crescere i prezzi dei nostri prodotti sugli scaffali americani, portando inevitabilmente a una diminuzione delle vendite. A essere maggiormente colpita sarebbe la regione Lombardia, che nel 2023 ha esportato prodotti per un valore di circa 15 miliardi di dollari. In un contesto già difficile per l’economia italiana, segnato da un aumento dell’inflazione, da una concorrenza asiatica sempre più agguerrita e dall’incertezza riguardo i costi dell’energia, l’attuazione dei dazi proposti da Trump peserebbe enormemente sulle spalle dei contribuenti italiani.
Un possibile salvagente a questa situazione potrebbero essere le relazioni diplomatiche tra il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e Donald Trump. Entrambi sono leader di estrema destra, che condividono valori comuni su temi ideologici come l’immigrazione, la sovranità nazionale e l’identità culturale. Questo potrebbe facilitare il dialogo tra i due governi, portando a un ammorbidimento della posizione statunitense nei confronti dell’Italia.
Fonti:
https://pagellapolitica.it/articoli/valore-esportazioni-importazioni-italia-stati-uniti
https://www.nytimes.com/2024/11/18/us/politics/tulsi-gabbard-trump-russia.html
https://www.washingtonpost.com/world/2024/11/20/trump-tariffs-europe-trade-war/
https://www.nytimes.com/2024/11/07/world/middleeast/trump-israel-gaza-ceasefire-talks.html
https://www.washingtonpost.com/politics/2024/10/17/trump-zelensky-ukraine-war-start/
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