Ladri in casa? Ecco come rispondere! (provando a sfidare l’etnocentrismo e la deregulation della tutela dei beni culturali)

Il direttore del British Museum, Hartwig Fischer, si è dimesso il 26 agosto in risposta ai furti compiuti nei depositi del museo londinese.

Tra i millecinquecento e i duemila artefatti, opere d’arte, oggetti e frammenti sono stati rubati dai depositi del British Museum.

Un danno materiale, storico-artistico, economico, finanziario. Uno scandalo d’immagine internazionale. Una perdita eccezionale che, con molta probabilità, non potrà essere ricostruita, data l’estrema complessità nel recuperare i beni smarriti e la poca cura nelle operazioni di catalogazione, archiviazione e conservazione.

Un problema, quello dei furti di migliaia di beni, emerso già due anni fa con le prime segnalazioni e avvisaglie, respinte o ignorate più volte.

 

Questa vicenda – di cronaca – dei furti compiuti nel British Museum, può e deve estendersi ad (almeno) due riflessioni più ampie, di politica e di gestione dei beni culturali.

 

La prima riflessione si origina dai furti compiuti nel British Museum per richiamare i furti compiuti dal British Museum. 

Nel corso dei quasi trecento anni dalla sua fondazione, il Museo ha raccolto, collezionato e ottenuto milioni di beni. I frammenti del frontone del Partenone di Atene – i cosiddetti Marmi Elgin -, le maschere Fang, o ancora, quelle della cultura Baule, gli ottoni del Benin. Sono tutte opere delle quali il Museo è entrato in possesso con la più bianca ed europea delle strategie di scasso e rapina: l’etnocentrismo.

Provocazioni a parte, il British Museum ha sempre giustificato le sue secolari grigie acquisizioni, con ragioni di tutela o valorizzazione dei beni sottratti o requisiti. Forte di queste ragioni, la direzione del Museo si è sempre opposta alla restituzione di questo patrimonio (1) .

 

A seguito dello scandalo dei furti subiti dal Museo e delle conseguenti dimissioni del direttore Fischer, non si è dovuto attendere molto per le pronte richieste di restituzioni (2), mosse da parte di stati o culture che si sono visti sottratti parte del loro patrimonio nel corso degli ultimi secoli. 

Le prime richieste sono giunte da parte del governo e della comunità scientifica degli archeologi greca. Riferendosi ai beni culturali greci in possesso del British Museum – e in particolare ai marmi del Partenone – la segretaria dell’Associazione Greca degli Archeologi, Despina Koutsoumba, ha dichiarato che “non si può continuare ad affermare che il nostro patrimonio è maggiormente al sicuro al British Museum”, significando la volontà dell’immediata restituzione di tutti i beni sottratti.

Successivamente anche sul social network cinese Xīnlàng Wēibó sono cresciute sempre più le richieste di restituzione dei beni culturali cinesi, nate ed alimentate da un editoriale pubblicato domenica 27 agosto sul tabloid del Partito Comunista Cinese Global Times. Nell’editoriale si faceva riferimento ad una volontà già emersa da decenni e ben diffusa: la restituzione gratuita ed immediata di tutti i beni cinesi in possesso del Museo (3), che ne detiene la più grande collezione in tutto l’Occidente.

 

Dopo aver tentato di sfidare l’etno e l’eurocentrismo – dando ascolto ad annose richieste dalla Grecia, fino alla Cina – si incontra il secondo grande ostacolo di queste riflessioni sulla politica dei beni culturali: la deregulation della tutela dei beni.

Per deregulation qui intendo quella macrotendenza di derubricazione e denigrazione della tutela al cospetto della valorizzazione. Ovvero quel curioso processo politico e mentale che porta a credere che un’app sia più importante di un archivio, che i soldi destinati alla creazione di contenuti online siano meglio spesi rispetto a quelli dedicati alla catalogazione e alla schedatura dei beni o che in un parco archeologico del Sud Italia sia il caso di organizzare un DJ set.

In questa particolare situazione la deregulation della tutela dei beni ha condotto a non avere una catalogazione completa e compiuta di tutti i beni in possesso del Museo, causando la quasi totale impossibilità di rintracciare i beni trafugati durante i furti e a non poterne stimare nemmeno l’entità.

 

La risposta, o piuttosto, le risposte, da sviluppare sono quindi quelle da rivolgerei ai furti stessi, e non ai ladri. Risposte critiche e politiche innanzitutto, che non si limiteranno dunque alla stretta e limitata cultura repressiva e giudicatoria della cronaca, ma che indaghino sulle radici profonde del tema dei furti d’arte, del traffico illecito e delle acquisizioni illecite.

 

(1) Si nota la differenza tra la politica britannica e quella di altri stati europei quali Belgio o Germania che, seppur con non poco ritardo, si sono impegnati nella formazione di commissioni volte a indagare sul passato coloniale nazionale o nella creazione di nuove legislazioni con lo scopo di avviare processi di restituzione.

(2) Con “restituzione (di beni culturali)” si intende una tutela fornita da un ordinamento giuridico con la quale si ristabilisce o ripristina uno status quo ante modificato illegittimamente, causato prevalentemente da acquisizioni illecite da parte di un museo, di un collezionista o di una forma di governo.

(3) Al 28 agosto 2023, il governo non ha ancora espresso dichiarazioni in merito.

Fonti

 

China state media calls on British Museum to return artefacts – BBC News

British Museum thefts: Director Hartwig Fischer quits over stolen treasures – BBC News

British Museum director Hartwig Fischer resigns after suspected thefts | British Museum | The Guardian

Artefacts stolen from British Museum ‘may be untraceable’ due to poor records | British Museum | The Guardian

Hartwig Fischer si dimette dalla direzione del British Museum | Artribune

Foto di Aurélien Barre da Pixabay (link: Museo Britannico Grande Corte – Foto gratis su Pixabay)

 

 

 

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