Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) sottoscritto il 7 febbraio 1992 a Maastricht ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, apporta significative modifiche ai precedenti trattati europei. L’ordinamento sovranazionale assume una conformazione peculiare, che nella simbologia del processo di integrazione, viene rappresentato come un tempio greco. Il Trattato è posto a fondamento dell’intera struttura, il frontone rappresenta l’Unione Europea e le colonne simboleggiano i pilastri dell’Unione. Il primo riguarda il mercato comune che rimane di competenza della Comunità Europea, il secondo attiene alla politica estera e di sicurezza comune (PESC), il terzo riguarda la cooperazione in materia di giustizia e affari interni (GAI) e quindi la cooperazione giudiziaria in materia penale (in seguito alla soppressione dei controlli alle frontiere, bisognava garantire un elevato livello di sicurezza ai cittadini comunitari).
Per cooperazione giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’UE, si intende in primis la creazione di uno spazio comune di giustizia, attraverso il ravvicinamento delle normative degli Stati membri in materia penale, il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e della loro esecuzione. Per perseguire lo scopo della lotta alla criminalità organizzata, è necessario un continuo dialogo tra le autorità giudiziarie comunitarie. A tal fine l’Unione ha istituito agenzie e organi specifici (come “Eurojust”), per facilitare la collaborazione tra le autorità interne. La Comunità ha introdotto, nell’ambito dell’assistenza reciproca tra i Paesi, la procedura del Mandato di Arresto Europeo (MAE), che garantisce la coerenza e l’efficacia della cooperazione internazionale nel contrasto alla delinquenza.
Il “MAE” si differenzia dalla comune figura dell’estradizione, quest’ultima è un meccanismo di diritto penale che ha la funzione di garantire la collaborazione giudiziaria internazionale tra Stati. Secondo questo istituto, un Paese può richiedere ad un altro Stato, la consegna di un “reo” che si trova sul suo territorio, allo scopo di giudicarlo secondo le proprie leggi nazionali. Il richiedente potrà iniziare un giudizio nei confronti dell’individuo estradato, oppure dare esecuzione ad una sentenza di condanna o ad un provvedimento restrittivo della libertà personale emesso nei confronti dello stesso. La procedura negli anni ha perso la sua posizione di primazia nel novero delle ipotesi di collaborazione transnazionale all’interno dell’Unione Europea, a causa dell’affermazione del mandato d’arresto europeo, strumento più semplice e dinamico. Anch’esso è un mezzo per garantire la cooperazione giudiziaria, ma esclusivamente tra Paesi membri dell’Unione. Il protocollo prevede una richiesta da parte dell’autorità giudiziaria di uno Stato dell’UE, che si proceda all’arresto di un individuo presente sul territorio di un altro membro, per esercitare l’azione penale ovvero l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà. Il “MAE” costituisce quindi, una sorta di estradizione semplificata e depoliticizzata, affidata alle autorità giudiziarie degli Stati membri dell’Unione Europea e fondata sul principio della fiducia reciproca.
Al livello nazionale, viene introdotto in Italia mediante la l. n. 69/2005, a seguito dell’adozione della decisione quadro 2002/584 del Consiglio dell’Unione Europea. Con l’introduzione di questo strumento ci si prefiggeva lo scopo di sviluppare una rapida procedura di consegna dei ricercati, da parte dei membri della Comunità che ne avessero fatto richiesta. Il meccanismo si concentra sul reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie ed è operativo all’interno di ogni Paese appartenente all’Unione. Oggi il mandato emesso dalle autorità di uno Stato membro, risulta valido in tutto il territorio dell’UE.
Ma quali sono i requisiti per richiedere di un mandato d’arresto europeo?
Può essere emesso in due casi:
- reati puniti con una pena detentiva o con una misura di sicurezza privativa della libertà, di durata massima non inferiore a un anno;
- condanna con sentenza definitiva a una pena detentiva o di una misura di sicurezza privativa della libertà, di durata non inferiore a quattro mesi.
Requisito fondamentale per la richiesta di un mandato di arresto europeo, è sussistenza della “doppia incriminazione”, secondo la quale l’esecuzione avverrà solo se il fatto risulta previsto come reato, da entrambi i sistemi penali degli Stati interessati. La decisione quadro prevede inoltre una disciplina derogatoria di questo presupposto, per un gruppo di 32 figure o famiglie di reato tassativamente indicati (terrorismo, partecipazione a un’organizzazione criminale, tratta di esseri umani, traffico illecito di stupefacenti e di armi… etc.), per i quali è prevista la consegna obbligatoria, sempre che siano puniti con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà personale pari o superiore a tre anni. Questo elemento lo fa apparire in una posizione di sostanziale discontinuità con l’estradizione, che non prevede deroghe.
La procedura di consegna del soggetto al quale è indirizzato il mandato si divide in tre fasi.
La prima contraddistinta dalla comunicazione dell’autorità giudiziaria del paese richiedente, direttamente all’autorità giudiziaria dell’esecuzione, quando il luogo in cui si trova il ricercato è conosciuto. La seconda fase è quella dell’attuazione, dove l’autorità ricevente procede all’esecuzione, salvo nei casi previsti dai motivi di rifiuto obbligatorio della consegna: per amnistia (il paese d’esecuzione avrebbe potuto perseguire il soggetto, ma il reato è stato amnistiato), per il rispetto del principio del “ne bis in idem”(quando la persona è stata già giudicata per lo stesso reato), se l’individuo oggetto del mandato d’arresto europeo era minore di anni 14 al momento della commissione del reato. La terza fase prevede l’accertamento della presenza del consenso espresso dal protagonista del procedimento, a seguito del quale l’autorità giudiziaria deciderà in merito alla sua consegna. Nel caso in cui il ricercato non presti l’autorizzazione, avrà diritto all’audizione a cura dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, nel rispetto delle norme del diritto interno.
Tra i principi che devono essere rispettati in materia di mandato d’arresto europeo, vi è quello del giusto processo, codificato nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea agli artt.47 – 48. Nel caso “LM” del 25.7.2018, la Corte di Giustizia ha chiarito che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, per scongiurare l’esistenza di una violazione del diritto fondamentale all’equo processo, prima di consegnare il ricercato, dovrà verificare in modo concreto e preciso se vi siano seri e comprovati motivi per ritenere che la persona corra il rischio di lesione dei propri diritti.
Anche per quanto riguarda il tema del trattamento carcerario, al quale la persona da consegnare dovrebbe essere sottoposta in attesa del processo, la “CGUE” ha disposto nelle sentenza del 5 aprile 2016, sulle cause riunite C-404/15 e C-659/15 Aranyosi e Caldararu, che in presenza di elementi oggettivi, precisi ed attendibili, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve verificare, in modo concreto e preciso, se sussistano seri e comprovati motivi che la persona soggetta al “MAE”, corra il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti nel corso della detenzione, ai sensi dell’articolo 4 della “Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea”. Tali principi sono stati recentemente confermati nella sentenza del caso Dorobantu, del 15 ottobre 2019.
L’8 dicembre 2022 la Commissione Europea ha adottato una raccomandazione sui diritti procedurali di indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione, con il proposito di potenziare la cooperazione giudiziaria in materia penale e migliorare le condizioni dei detenuti all’interno dell’Unione Europea.
Il “MAE” risulta operativo dal 1° gennaio 2004 e si è ormai cristallizzato come uno strumento per combattere la latitanza dei criminali nei territori dell’Unione, andando a sostituire i lunghi e complessi procedimenti di estradizione dell’UE. Ad oggi è un ottimo mezzo per garantire ai Paesi membri della Comunità Europea una rapida ed agevole collaborazione nella ricerca e consegna dei soggetti ricercati, allo stesso tempo si prospetta come uno strumento di bilanciamento tra i valori fondamentali del rispetto della persona umana e le esigenze di politica criminale.
A cura di Greta Verdone
Fonti
- europa.eu
- rivistaildirittovivente.it
- Altalex
- Per l’immagine: foto di Magnus da Pixabay ( https://pixabay.com/it/photos/polizia-stradale-monaco-baviera-5281693/ )