Dopo la sconfitta alle presidenziali del 2020 e gli eventi traumatici del 6 gennaio 2021, Donald Trump era diventato un “intoccabile” per molte delle grandi aziende che basano il proprio successo sulla capacità di attrarre clienti di ogni estrazione politica e sociale. Non si trattava, però, di un improvviso cambiamento di valori o di una condanna morale: era puro pragmatismo. In quel periodo, associarsi alla figura di Trump era diventato un rischio reputazionale che nessuna azienda, soprattutto quelle con clienti globali e diversificati, poteva permettersi di correre. Per loro, era una questione di immagine, non di integrità. Ma oggi, con il vento politico che torna a soffiare a favore di Trump, lo scenario sta cambiando rapidamente.
Un esempio evidente è stato il caso di Deutsche Bank, una delle principali banche che aveva sostenuto Trump per anni, concedendo prestiti multimilionari alle sue aziende. Dopo il 6 gennaio, la banca annunciò che avrebbe cessato qualsiasi rapporto con lui, una mossa imitata da numerose altre istituzioni finanziarie. Stripe, la società di pagamenti online, smise di elaborare transazioni per il sito della campagna di Trump, mentre Shopify chiuse i negozi online legati alla sua organizzazione. Anche nel settore tech, il distanziamento fu rapido e netto. Twitter, una delle piattaforme preferite da Trump, lo bannò definitivamente, mentre Facebook e YouTube seguirono con sospensioni prolungate dei suoi account. Nel mondo del commercio, colossi come Macy’s e PGA of America rimossero il suo nome da partnership e contratti, temendo ripercussioni sulla propria immagine. L’abbandono fu altrettanto evidente tra le aziende che avevano precedentemente contribuito finanziariamente alle sue campagne o eventi inaugurali. Giganti come AT&T, Marriott e Walmart, che avevano donato milioni per sostenere la sua presidenza, annunciarono di voler riconsiderare i loro contributi a politici che avevano appoggiato le contestazioni elettorali del 2020.
Negli ultimi mesi, Donald Trump ha consolidato il suo status non solo come leader politico, ma anche come epicentro del potere economico e strategico degli Stati Uniti. Mar-a-Lago, la sua lussuosa residenza a Palm Beach, è diventata il fulcro di incontri con i grandi nomi della finanza e delle imprese. Qui, tra campi da golf e sale da ballo, miliardari e dirigenti d’azienda si alternano per incontri privati, colloqui riservati e videoconferenze. E, quasi sempre, a questi contatti seguono donazioni sostanziose, destinate in gran parte al comitato organizzatore della cerimonia d’insediamento di Trump.
Tra i protagonisti di questa “marcia verso Mar-a-Lago” troviamo Jeff Bezos, che ha recentemente incontrato Trump e ha annunciato una donazione di 1 milione di dollari per il suo fondo inaugurale. Anche Mark Zuckerberg, CEO di Meta, ha seguito un percorso simile, contribuendo con una somma analoga dopo un colloquio privato. Ma non sono solo i titani della tecnologia a muoversi verso il tycoon: Miriam Adelson, vedova del magnate dei casinò Sheldon Adelson, ha promesso ben 90 milioni di dollari a sostegno della sua campagna, mantenendo una tradizione di sostegno generoso ai Repubblicani. Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase, e altri esponenti di Wall Street stanno cercando di ripristinare i rapporti, con JPMorgan che ha già elargito contributi al comitato inaugurale.
Anche le grandi aziende stanno riallineandosi rapidamente. AT&T e Comcast, che avevano sospeso i contributi dopo gli eventi del 6 gennaio, hanno ripreso le loro donazioni, contribuendo significativamente ai fondi per l’insediamento. Ford, uno dei colossi industriali americani, ha donato 500.000 dollari al comitato, segnando una svolta rispetto alle posizioni più distanti tenute negli ultimi anni.
Un caso emblematico è quello di Elon Musk, attualmente l’uomo più ricco del mondo. Musk è stato tra i primi a comprendere le potenzialità di un secondo mandato di Donald Trump. Dopo aver acquistato Twitter per 44 miliardi di dollari, ha immediatamente reintegrato Trump sulla piattaforma, annullando il ban che lo aveva allontanato. Questo gesto, che ha suscitato molte polemiche, ha segnato l’inizio di una relazione sempre più stretta tra i due, tanto che Musk è rapidamente diventato uno dei principali donatori della campagna di Trump.
Oggi Musk non è più solo un consigliere, ma una figura centrale nel suo entourage politico. Il suo ruolo va ben oltre quello di un semplice sostenitore, tanto che una parte della stampa statunitense ha cominciato a porsi una domanda provocatoria: “Non è che, alla fine, il presidente de facto sarà Musk?” Nonostante questa affermazione possa sembrare audace, c’è un fondo di verità: Musk è immensamente ricco, giovane, carismatico e straordinariamente influente. È il fondatore di aziende che dominano settori chiave come l’automotive e l’energia, e la sua presenza sulla scena mondiale è indiscutibile.
Tuttavia, esiste un ostacolo insormontabile: Musk è nato in Sudafrica, e per la Costituzione degli Stati Uniti non può candidarsi alla presidenza. Nonostante ciò, Musk sembra esercitare una forma di potere che non ha precedenti. È diventato un alleato strategico di Trump, un consigliere e un finanziatore, un “presidente non ufficiale” che, pur non ricoprendo la carica, sembra influenzare fortemente le dinamiche politiche del paese. In questo senso, seppur non formalmente, Musk sta assumendo una posizione di leadership che in alcuni aspetti lo rende più potente di molti politici in carica.
Trump, nel frattempo, è impegnato nella creazione del suo prossimo gabinetto, un compito che sta affrontando con un criterio chiaro: la fedeltà. Il tycoon newyorkese sa bene che il suo successo politico dipende, almeno in parte, dalla lealtà delle persone che lo circondano. Un gruppo di fiducia è fondamentale per affrontare le sfide che l’attendono nel suo secondo mandato, e sta selezionando con cura coloro che non solo condividono la sua visione politica, ma che hanno dimostrato una costante fedeltà alla sua leadership.
In parallelo, Trump ha recentemente pubblicato un post su Truth Social, la sua piattaforma social creata dopo essere stato escluso da Twitter e Facebook. Truth Social, lanciata nel 2022, è diventata il principale strumento di comunicazione per Trump, dove esprime le sue opinioni, commenta gli sviluppi politici e interagisce con i suoi sostenitori. Nella sua ultima dichiarazione, Trump ha scritto un post ironico in cui afferma: “Tutti vogliono essere miei amici.” Con questa frase, Trump ha messo in luce la realtà del momento: le stesse aziende e personalità politiche che una volta lo avevano abbandonato, per timore di danneggiare la propria immagine, ora si stanno affrettando a riallacciare i contatti, consapevoli che il suo ritorno alla Casa Bianca potrebbe segnare una svolta per i loro affari.
Con la consapevolezza che le sue politiche e il suo stile di leadership potrebbero ridisegnare la scena economica e politica, molte delle stesse aziende che avevano preso le distanze da lui stanno ora cercando di riconquistare la sua attenzione. Trump è ben conscio di questo fenomeno e lo sfrutta a suo favore, ironizzando su come il loro atteggiamento sia cambiato repentinamente. La sua osservazione su Truth Social non è solo una battuta, ma anche una chiara ammissione del suo potere e della centralità che riveste nella politica americana, pronta a esercitare una nuova influenza grazie all’onda di ritorno di supporto che sta raccogliendo.
Fonti:
https://www.ilpost.it/2024/11/06/elon-musk-donald-trump-campagna-elettorale/
https://m.economictimes.com/news/international/us/usurped-by-president-elon-musk-is-the-worlds-richest-man-acting-as-shadow-president-and-dictating-terms-democrats-take-pot-shots-at-trump-as-shutdown-looms/articleshow/116481188.cms
https://www.nytimes.com/2024/12/12/technology/amazon-trump-inauguration.html
https://www.nytimes.com/2024/12/14/technology/trump-tech-amazon-meta-openai.html
https://www.latimes.com/business/story/2024-12-13/tech-billionaires-zuckerberg-bezos-and-altman-donate-to-trumps-inauguration
Foto presa da Pixabay (https://pixabay.com/illustrations/sculpture-usa-city-evening-sea-7499732/)