Si vis pacem, para bellum. Su un riarmo europeo consapevole.

“Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum”, in traduzione letterale: ”dunque, chi aspira alla pace, prepari la guerra”, è il memorabile aforisma rinvenuto nel prologo del libro III dell’“Epitoma Rei Militaris” di Vegezio, da cui discende il celeberrimo detto di derivazione latina “Si vis pacem, para bellum”, “se vuoi la pace, prepara la guerra”. Tale breve richiamo lascia emergere come l’esigenza dello sviluppo di una politica di deterrenza difensiva, volta alla tutela degli interessi interni alla civitas ed alla protezione del proprio modello sociale, fosse già largamente conosciuta nella cultura ellenistico-romanistica

In un momento di ridefinizione dell’ordine mondiale caratterizzato da grandi instabilità geopolitiche l’Unione Europea sembrerebbe essere chiamata a compiere scelte coraggiose. Il Vecchio Continente si trova oggi schiacciato in una stringente morsa che si attanaglia da ogni lato dei suoi confini. 

Da est la criminale aggressione della Federazione Russa alla libertà del popolo ucraino non permette di prevedere in maniera certa le intenzioni imperialistiche di Vladimir Putin, lasciando aperta la prospettiva che i prossimi ad essere invasi possano essere i paesi Baltici, la Polonia e la Moldavia. D’altronde l’inaffidabilità delle dichiarazioni del presidente russo non è di certo una novità, basti pensare a quando dichiarò di star ammassando centinaia di mezzi corazzati al confine ucraino per un’esercitazione, invadendo il territorio straniero solo pochi giorni dopo. Allo scopo possiamo ricordare anche la cosiddetta “crisi degli omini verdi”, quando nel 2014 misteriose truppe sguarnite di mostrine e bandiere, ma con forniture militari russe, si appropriarono della Crimea, venendo poi riconosciute ai comandi del Cremlino solamente in un secondo momento e dopo numerosissime negazioni. 

Sul versante occidentale L’Unione si trova invece incalzata da quello che dovrebbe essere il suo migliore amico ed alleato, gli Stati Uniti. Dopo aver appaltato all’esterno la produzione di gran parte dei propri beni di consumo per assecondare il proprio modello di sviluppo capitalistico, sotto la guida del neopresidente Trump, gli States hanno deciso di attuare politiche di protezionismo economico volte a sfavorire il libero mercato e a danneggiare deliberatamente l’Unione Europea e molti dei propri partners storici, al fine di ottenere vantaggi unilaterali e cercare di riportare il Paese a stelle e strisce in una posizione di dominanza globale evidentemente non più così ovvia. Quest’ultima sta venendo intaccata sempre più dalla crescita dell’UE, ma soprattutto dalla dominanza della Cina, ormai vera protagonista della geopolitica mondiale.

In ossequio con la propria politica sovranista, il Tycoon non si è astenuto dal mettere in discussione la disponibilità americana a fornire protezione militare ai Paesi europei, in vista anche di un tentativo di rinnovamento dei rapporti con la Russia, volti ad allontanarla  dagli “affari” con la Terra del Dragone, vero diretto avversario in campo. 

Inoltre il presidente nord americano ha richiesto un aumento delle spese militari a tutti i paesi aderenti alla NATO-OTAN, fondato sulla base di dati in partecipazione percentuale al Patto Atlantico per gran parte falsati, forse allo scopo di spingere gli alleati sempre più inclini a sviluppare sistemi d’arma in-house, a procedere con nuove commissioni di armamenti nei confronti degli USA per foraggiare la propria industria militare (a scopo esemplificativo e solo limitatamente pertinente si possono richiamare tra i nuovi sviluppi di armamenti proprietari: il progetto GCAP sul caccia sesta generazione in sviluppo tra Italia, Gran Bretagna e Giappone; il nuovo accordo tra Leonardo e Rheinmetal; le crescenti potenzialità dei prodotti civili e militari di Thales e Airbus).

ReArm Europe

Successivamente alla fine del secondo conflitto mondiale, la guerra fredda con il suo “equilibrio del terrore” ed il consolidamento del Patto Atlantico dopo la caduta del Muro di Berlino, il conseguente scioglimento dell’Unione Sovietica, hanno regalato all’area europea un periodo di pace senza precedenti nella storia dell’umanità abbastanza lungo da consolidare in molti dei suoi abitanti l’idea che la pace si una cosa scontata e intrinseca nella società.

Questo ha permesso all’Unione Europea di divenire la culla dei diritti civili ed il Golden Standard delle principali libertà sociali ed economiche, concentrandosi sullo sviluppo del benessere collettivo e senza preoccuparsi di pesanti investimenti difensivi, godendo di una discreta alea di intoccabilità assicurata dagli Stati Uniti.

L’epoca che ci stiamo accingendo a vivere, caratterizzata da forti instabilità, contrasti e conflitti, potrebbe però costringerci a mettere in discussione molte delle certezze consolidate negli anni, facendo riemergere paure e pericoli che credevamo aver consegnato definitivamente alle pagine dei libri di storia.

Oggi l’Unione Europea risulta più sola che mai, pressata da alleati e nemici, si ritrova senza reali strumenti adeguati per affrontare al meglio le nuove sfide di questa metà di secolo, su tutte quella di garantire la sicurezza e l’incolumità dei sui cittadini da eventuali conflitti militari.

Le lacune dell’UE in tema di difesa comune non sono di certo una novità ed ogni proposta di evoluzione migliorativa si ritrova a percorre strade minate dal principio dell’unanimità del Consiglio, vigente su tutti i temi “sensibili”, o dalle estenuanti opposizioni dei partiti più estremisti.

In quest’ottica la presidentessa Ursula von der Leyen ha annunciato un piano di sviluppo difensivo denominato Rearm Europe, che si propone essere un piccolo ma rilevante step verso una maggiore integrazione europea ed efficienza in tema di sicurezza comune. 

Con questo progetto la Commissione Europea ha scelto di adottare un approccio innovativo in materia, da tempo auspicato dagli addetti ai lavori, anche in funzione delle contingenze attuali. 

Il programma si concretizza nell’invito della Commissione a tutti gli Stati membri ad attivare la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità e Crescita, fornendo loro uno spazio di bilancio aggiuntivo per aumentare la spesa per la difesa, nel rispetto dei regolamenti fiscali dell’UE.

Non si presenta quindi come un ingente stanziamento di fondi della portata di 800 miliardi di euro, ma come l’opportunità di non conteggiare le spese per la difesa all’interno del Patto di Stabilità nel limite di 1,5% del PIL nazionale ogni anno, per quattro anni, fino ad un massimo di 650 miliardi di euro.

La raccomandazione è quella di utilizzare tale spazio di manovra per il consolidamento delle cooperazioni già esistenti (PESCO) e per lo sviluppo di nuove collaborazioni o nuovi armamenti funzionalmente alle esigenze difensive.

Questo significa che spetterà ai governi di ogni singolo Stato la scelta di produrre deficit investendo per l’incremento delle proprie attrezzature militari.

In aggiunta per mezzo del nuovo strumento dedicato all’Azione per la Sicurezza in Europa – “SAFE”, la Commissione raccoglierà 150 miliardi di euro sui mercati di capitali attraverso lo sfruttamento dell’approccio di finanziamento unificato, al fine di aiutare gli Stati dell’Unione ad aumentare rapidamente e sostanzialmente gli investimenti nelle capacità di difesa. 

“SAFE” permetterà agli Stati membri d’incrementare immediatamente e in modo massiccio gli investimenti nella difesa attraverso acquisti congiunti dall’industria europea della difesa. Assolutamente da non sottovalutare la possibilità che anche l’Ucraina, i Paesi in fase di adesione, i candidati, i potenziali candidati e i Paesi firmatari di partenariati per la sicurezza e la difesa con l’UE, potranno partecipare agli acquisti congiunti.

Tali finanziamenti saranno erogati su un modello di concessione fondi simile a quello usato durante il covid-19. Ad esempio nel periodo pandemico l’Italia ha singolarmente ricevuto 219 miliardi come supporto per fronteggiare le conseguenze dell’emergenza sanitaria (ben più di 150 per 27 stati), 120 dei quali sono stati impiegati con discussa utilità sociale ed economica nel così detto “superbonus edilizio”.

Il Piano ReArm Europe si basa anche sul Gruppo della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) per ampliare l’ambito dei suoi finanziamenti a progetti di difesa e sicurezza, mantenendo contemporaneamente elevate capacità di finanziamento. Oltre a sbloccare fondi significativi, si prevede che tutto ciò invierà segnali positivi ai mercati.

Inoltre la Commissione Europea ha adottato la “Strategia per l’Unione del Risparmio e degli Investimenti”, così nell’eventualità che il solo investimento pubblico risulti insufficiente, renderà più facile la mobilitazione dei risparmi privati nei mercati di capitali, in modo da canalizzare gli investimenti in settori critici dell’economia come la difesa, per tutti coloro che desiderano investirvi.

Come evidenziato dalla presidentessa von der Leyen nella presentazione delle linee guida politiche, gli ultimi anni hanno evidenziato un cronico sottoinvestimento e la mancanza di un impiego efficiente delle spese nelle capacità militari dell’Europa. 

Nei rapporti istituzionali degli enti e delle agenzie UE dedicati alla difesa è stimato che una crescente armonizzazione delle attività difensive e l’accorpamento delle truppe porterebbe ad un risparmio di circa 45 miliardi di euro annui, fondi utilizzabili per foraggiare “progetti di pace”.

Per definire un nuovo approccio e individuare i bisogni di investimento dell’Europa, la Commissione e l’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune hanno presentato il “Libro Bianco sulla Difesa Europea” (White Paper for European Defence).

Il Libro Bianco ha lo scopo di proporre soluzioni orientate a colmare le lacune nelle capacità difensive, presentando modalità per consentire agli Stati membri di investire nella difesa, acquisire sistemi militari e rafforzare la prontezza dell’industria europea della sicurezza collettiva e della difesa nel lungo periodo.

Non bisogna mai dimenticare che la politica di difesa e sicurezza comune (PSDC) è parte integrante del trattato di Lisbona, noto anche come trattato sull’Unione europea (TUE). Specificamente ha base giuridica e fondamento nel titolo V (Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione e disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune), capo 2 (Disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune), sezione 2 (Disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa comune) del Trattato, quindi requisito strutturale e fisiologico dell’Unione stessa.

È quindi implicito che l’aumento dell’integrazione e della coesione europea, necessario per contrastare una crescente prospettiva di ostilità globale, debba passare anche per uno sviluppo consapevole delle capacità difensive dell’Unione Europea e dei suoi partners.

A cura di Edoardo Giulio Rossi

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