Accordo commerciale Ue-Mercosur: quanti sono 25 anni?

Dopo 25 anni di trattative, siamo quasi alla chiusura dell'accordo di libero scambio tra UE e Mercosur: ecco quello che c'è da sapere e cosa succede ora

25 anni sono tanti o pochi? Dipende: sono tanti per finire un puzzle e sono pochi per pensare di andare in pensione. Sicuramente si possono fare molte cose in un quarto di secolo, l’UE, dal canto suo, è riuscita a mettere una firma… E ne mancano ancora altre 32!

La firma a cui ci si riferisce è quella dell’intesa sull’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e i paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Bolivia, Paraguay e Uruguay) avvenuta venerdì 6 dicembre a Montevideo, in presenza della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e dei leader dei cinque paesi sudamericani. 

L’accordo mira a creare una delle zone di libero scambio più estese al mondo, rimuovendo i dazi su quasi il 90% delle merci scambiate e armonizzando le differenze normative tra i due blocchi. Dell’accordo si parla da oltre vent’anni. I negoziati, iniziati nel 2000, sono stati lunghi e complessi, e hanno dovuto tenere conto delle obiezioni e dei veti sia dei paesi europei sia di quelli latinoamericani.

L’intesa prevede vantaggi commerciali per entrambe le parti. L’Unione Europea punta a rafforzare le esportazioni di settori finora penalizzati da alti dazi, come auto, vino e abbigliamento, e ad assicurarsi l’approvvigionamento di risorse strategiche come il litio, di cui l’America Latina è ricca. I Paesi del Mercosur, invece, vedono nell’accordo l’opportunità di ampliare il mercato dei loro prodotti alimentari in Europa.

 

Ora o mai più
Al di là delle importantissime ripercussioni commerciali ed economiche, il tempismo con cui è stato annunciata la firma, con i negoziati che si sono notevolmente intensificati negli ultimi mesi, è dovuto ad almeno due motivi di natura politica.

In primo luogo, l’accordo è uno strumento per rafforzare il legame diplomatico tra l’Unione Europea e l’America Latina in un momento in cui molti paesi di quell’area sono attratti più o meno direttamente dalla Cina (si veda il recento avvicinamento del Brasile di Lula ai BRICS).

In secondo luogo, l’annuncio arriva in contemporanea all’insediamento di Trump alla Casa Bianca, con il presidente eletto che ha già annunciato di voler riprendere la politica protezionistica portata avanti già nel primo mandato, quando scatenò una guerra commerciale che ha danneggiato gravemente soprattutto i settori dell’export di automobili e di prodotti agricoli europei verso gli USA.

 

Il fronte del no
I tempi lunghi, lunghissimi (anche per un accordo commerciale) delle trattative per l’accordo sono dovute principalmente alla difficoltà di creare consenso attorno ad esso, specialmente in Europa.

Un primo accordo politico si era raggiunto nel 2019, ma a questo non è seguita però la ratifica da parte degli Stati membri, facendo diventare il Mercosur di fatto un ibrido geopolitico a metà tra una cattedrale nel deserto (o meglio, nell’oceano) e un elefante nella stanza presente a ogni summit internazionale.

Sebbene la teoria economica sia concorde nel mostrare i benefici delle liberalizzazioni commerciali in termini di quantità prodotta e di prezzi e che secondo la maggior parte degli studi l’accordo è favorevole da un punto di vista economico, permangono alcune resistenze.

Da un lato sindacati e associazioni di categoria di agricoltori e allevatori sollevano preoccupazioni legate alla concorrenza dei prodotti sudamericani, spesso avvantaggiati da costi di produzione inferiori e che quindi potrebbero spingere fuori dal mercato alcune aziende europee.

Dall’altro lato, sono state sollevate anche istanze ambientali. I critici dell’accordo temono che il potenziamento delle esportazioni agro-alimentari possa tradursi in un incremento delle produzioni intensive, con conseguenti deforestazioni per creare nuove aree coltivabili e destinate agli allevamenti. Inoltre, gli alimenti (in particolare la carne) prodotta in Sud America potrebbe non rispettare gli standard alimentari europei e una inadeguata vigilanza potrebbe far entrare nel mercato europeo del cibo contenente ormoni o altri prodotti vietati.

Sotto l’aspetto della tutela dell’ambiente, nella sua versione aggiornata, l’accordo introduce clausole che vincolano il commercio al rispetto degli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi e istituisce strumenti per risolvere controversie in ambito ambientale ed economico.


I prossimi passi
Per entrare in vigore l’accordo deve essere ratificato singolarmente dai Parlamenti nazionali dei cinque paesi del Mercosur e nel contempo adottato dal Consiglio dell’UE e in seguito adottato dal Parlamento Europeo.

La ratifica da parte sudamericana non è scontata, ma per il momento sembra prevedibile. Il presidente argentino Javier Milei ha già fatto sapere di non gradire alcune clausole dell’accordo e il presidente brasiliano Lula debba fare i conti con le potenti lobby degli allevatori che non vorrebbero perdere le loro rendite di posizione in uno dei settori protetti dai dazi più elevati in Brasile. Ma comunque, l’opportunità commerciale rappresentata dall’accordo sembra troppo ghiotta per essere perduta.

Dal lato europeo permangono alcune incognite, legate soprattutto al ruolo dell’Italia. Il fronte del “no” nel Vecchio Continente è storicamente guidato dalla Francia, che si è sempre opposta all’accordo. Ancora dopo la firma dell’intesa a Montevideo, Macron la cui posizione si è irrigidita dopo la pressione della lobby degli agricoltori e che si trova a difendere ill poco di consenso interno che gli è rimasto ha ribadito che l’accordo è, per il suo governo “insostenibile” e che farà “di tutto per bloccarlo.” Sulla stessa linea sono anche Polonia, Olanda, Irlanda e Austria.

Nonostante siano tanti paesi, numericamente potrebbero non bastare, considerando che, in accordo con i Trattati, sia in sede di Consiglio dell’UE che nel Parlamento Europeo il veto si ottiene quando supera il 35% dei voti. Un ruolo decisivo in Consiglio lo gioca in tal senso il governo italiano. Meloni, pressata dagli ha già espresso le sue rimostranze rispetto ad alcune parti dell’accordo, ma si trova anche di fronte alla necessità di rafforzare l’asse politico con von der Leyen e la sua posizione di partner affidabile in Europa. Questa seconda esigenza, anche alla luce dei numerosi dossier aperti, dalla politica migratoria al possibile sforamento dei vincoli di bilancio, sembra orientare il governo italiano verso il sì all’accordo.

Tutto è ancora da scrivere, sperando di risentirci prima dei miei capelli bianchi!

di Alessandro Ceschel

[Copyright immagine di copertina: Commissione Europea]

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