Negli ultimi cinque giorni un misterioso acronimo ha unito e diviso alleanze, è stato usato come strumento di negoziazione in sede europea prima e capro espiatorio poi, la sua ratifica è stata rinviata, rimbalzata tra Commissioni, trattata, discussa, urlata, rivendicata, rinnegata, approvata col favore delle tenebre e infine bocciata a furor di popolo.
Un evento epocale a giudicare dal clamore mediatico e dal livello dello scontro politico.
Eppure, in Italia nessuno ha capito cosa sia questo Mes, mentre fuori dall’Italia gli altri 19 Paesi su 20 assistono sbigottiti. In effetti, da loro la riforma del Mes è stata approvata già due anni fa senza particolari patemi, spesso senza che neanche se ne parlasse sui giornali.
Ma allora siamo noi che abbiamo scoperto una cosa che nessuno sa, oppure siamo leggermente schizofrenici e in preda a psicosi? Andiamo con ordine nella nostra diagnosi e partiamo, almeno in questa sede, dai fatti.
Cos’è il MES?
Il MES, acronimo di Meccanismo Europeo di Stabilità, è un’istituzione internazionale che esiste dal 2012, che è dotata di un fondo permanente da amministrare. Il capitale del fondo è sottoscritto, in diversa misura, da tutti gli Stati che adottano l’euro.
Il fondo nasce per aiutare le economie dei paesi che si trovano a rischio fallimento, cioè per “salvarle” dal default, da qui il nome di “fondo salva-Stati”. Il MES nasce dopo la crisi del debito sovrano del 2010-2011. Una crisi finanziaria che ha mostrato in maniera inequivocabile come le economie dei paesi europei sono collegate tra loro e quanto il rischio di contagio in caso di perturbazioni economiche sia elevatissimo e potenzialmente catastrofico.
A rischio di semplificare un tema complesso, si può dire che il funzionamento del MES è piuttosto intuitivo: ogni Stato che adotta la moneta unica sottoscrive una quota di capitale, cioè si impegna a conferire una parte del denaro di cui dispone il fondo, proporzionalmente alla sua popolazione e al PIL.
Una parte del capitale sottoscritto, pari all’11,4%, è già stata versata da ogni Stato, la restante sarà versata solo in caso di necessità.
Ad oggi il capitale sottoscritto è pari a 704,8 miliardi di euro, di cui 80,5 miliardi sono stati effettivamente versati nelle casse dell’organismo.
I principali finanziatori sono Francia, Germania e Italia, rispettivamente con 189,45 milioni di euro, 142,27 milioni e 125,02 milioni di capitale sottoscritto. Sono, perciò, i paesi che nelle votazioni hanno un peso decisionale maggiore, pari, nell’ordine, al 26,7%, al 20,1% e al 17,6%.
Come funziona il salvataggio degli Stati?
Il MES funziona essenzialmente come un istituto di credito. Se uno Stato si trova in difficoltà nel ripagare il proprio debito sovrano può richiedere, su base volontaria, l’assistenza del fondo. Potrebbe trovarsi a farlo perché quando uno Stato è a rischio di default, si trova a pagare interessi molto alti sui titoli di Stato, che devono compensare il rischio che gli investitori si assumono per prestare denaro a un debitore in crisi.
Invece, il MES applica dei tassi di interesse inferiori a quelli di mercato, anche se mette in atto altre condizionalità.
In caso di richiesta, il MES dà mandato alla Commissione europea affinché accerti la condizione delle finanze pubbliche dello Stato e se la sua crisi possa avere un effetto contagio e portare perciò alla crisi generalizzata dei paesi dell’area dell’euro.
A seguito del parere della Commissione, il MES adotta la decisione di garantire assistenza e si aprono dei negoziati molto delicati. Per ricevere i fondi, infatti, bisogna accettare un piano di riforme, concordato con la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea e, solo se il suo coinvolgimento è espressamente richiesto, con il Fondo Monetario Internazionale.
I piani a cui sono subordinati gli aiuti del MES hanno come obiettivo principale quello di risanare i conti pubblici del Paese coinvolto nel minor tempo possibile e, quindi, possono contenere misure impopolari come tagli alla spesa pubblica, tra cui sanità, istruzione e salari, privatizzazioni o liberalizzazioni.
È all’insieme di queste tre istituzioni e delle condizionalità imposte a cui spesso ci si riferisce con l’espressione “Troika”, usata impropriamente e largamente nella comunicazione politica italiana per accusare le istituzioni europee di portare avanti delle non meglio definite politiche economiche contrarie all’interesse delle masse popolari.
In realtà, come riportato anche da Pagella Politica, tra i cinque Paesi che finora hanno fatto ricorso al MES (Spagna, Portogallo, Irlanda, Cipro, Grecia), in quattro di questi la situazione macroeconomica è migliorata sensibilmente a seguito del salvataggio. Solo nel caso della Grecia il salvataggio ha avuto un impatto sociale negativo, come affermato da uno studio indipendente, che ha sottolineato anche come lo stesso MES abbia riconosciuto i propri errori e migliorato la propria azione nei salvataggi successivi.
In cosa consiste la riforma?
A partire dal 2017 sono iniziate le trattative per riformare il MES per aumentare le possibilità di intervento anche nell’ambito bancario, un altro settore la cui interconnessione e fragilità sono state Messe a nudo dalla crisi del 2008-2009, che ha preceduto e contribuito a innescare quella successiva del 2010-2011.
L’accordo per la sua riforma in sede europea è stato trovato a gennaio 2021, dopo quattro anni di trattative ed è decisamente molto tecnico. Si possono comunque isolare due cambiamenti più significativi.
Il primo è l’istituzione del MES come creditore di ultima istanza per il Fondo di Risoluzione Unico (SRF), un fondo costituito attraverso i versamenti degli Stati europei e delle banche e serve a procedere alla risoluzione delle banche in dissesto, cioè al salvataggio attraverso l’intervento di un’autorità indipendente, se ritenuto di interesse pubblico.
Il Fondo, quindi, già esiste, ma con la riforma il MES gli fornirebbe un “paracadute”, cioè se il SRF finisce i soldi (un caso comunque estremo), gli può prestare le risorse necessarie.
Il secondo riguarda le clausole di azione collettiva (CAC), cioè la possibilità per “una maggioranza qualificata di investitori in obbligazioni di modificare i termini di pagamento di un titolo, in maniera giuridicamente vincolante per tutti i detentori del titolo stesso, in modo da facilitare una ristrutturazione ordinata del debito”, come spiega Banca d’Italia.
Con la riforma, diventa relativamente più facile ricontrattare le condizioni del debito e restituire meno di quanto concordato in origine. Se un Paese non riesce più a ripagare il proprio debito sovrano, si potrà attivare una CAC a seguito di una sola votazione da parte dei creditori, anziché due come succede ora.
Come sottolinea il Post, è un punto controverso: nei casi di paesi in gravissima crisi è un bene perché potrebbero riprendersi con più facilità evitando il collasso. C’e anche il timore, però, che i futuri investitori, sapendo di questa possibilità, finiscano per chiedere interessi più alti ai paesi che percepiscono più a rischio, come l’Italia.
Perché il Parlamento ha bocciato la riforma?
Ricapitolando: il MES rappresenta uno strumento indispensabile di prevenzione del rischio e di stabilità economica. Esiste dal 2012 ed è già stato attivato da alcuni stati europei durante la crisi che ha caratterizzato quello stesso periodo e continuerà a esistere, con o senza riforma.
La riforma del MES è una questione squisitamente tecnica, su cui si è già trovato un accordo politico in passato. Trattandosi di un accordo internazionale deve essere ratificato da tutti gli Stati membri per far sì che le riforme entrino in vigore: la sua ratifica non comporta in alcun modo la sua attivazione e né ulteriori obblighi giuridici per chi lo ratifica. Tutti gli altri Paesi hanno ratificato l’accordo di riforma in tempi rapidi, tranne l’Italia.
La domanda più naturale che viene da porsi allora è: perché?
La risposta a questa domanda ruota interamente intorno a un punto: la questione del MES da squisitamente tecnica è diventata interamente politica.
In passato alcuni partiti, tra cui Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle si erano espressi in modo molto duro sia contro la riforma del MES che contro lo strumento stesso. Non solo costruendo un pezzo del proprio consenso su questo tema mentre erano all’opposizione, ma anche definendo ripetutamente il Mes come contrario “all’interesse nazionale” e creando molta disinformazione attorno all’effettivo funzionamento dello strumento e a cosa sarebbe successo se l’Italia avesse approvato la riforma.
In realtà, come in tutte le bugie che si raccontano, ci sono numerose incoerenze tra ciò che questi partiti hanno affermato nel tempo e i comportamenti che i loro esponenti tengono, o hanno tenuto, al Governo.
Il più evidente è sicuramente il comportamento di Giuseppe Conte, che da Presidente del Consiglio ha negoziato e trovato l’accordo politico sulla riforma del Mes, mentre da leader di un partito di opposizione ha votato contro la sua ratifica.
Ma anche all’interno della Lega, l’analisi realtà a cui è chiamato chi governa si scontra con la narrazione mistificata che il partito porta avanti. Ne è l’esempio la lettera inviata il 9 giugno 2023 dal Ministero dell’Economia e della Finanza alla Commissione Affari Esteri della Camera, in merito alla richiesta dell’impatto della ratifica del Mes sulle finanze italiane.
La lettera afferma esplicitamente che “dalla ratifica non discendono nuovi o maggiori oneri” in maniera diretta. L’unico caso in cui all’Italia possa essere richiesto di versare altri soldi è quello in cui il Mes richieda di versare nel fondo il capitale sottoscritto ma non ancora conferito.
Tuttavia, la riforma non ha nulla a che vedere con questa possibilità, che si verificherebbe solo in caso di problemi economici da parte del fondo. Problemi che sono già poco verosimili, ma che diventano ancora meno probabili a seguito della riforma, che, come la lettera afferma, è stata la causa dell’aumento del rating (cioè della affidabilità creditizia) del Mes, da parte di specifiche agenzie private che si occupano di valutazione del rischio.
La stessa lettera, infine, sottolinea come la ratifica del Mes potrebbe giovare all’Italia in maniera indiretta, dato che darebbe un segnale di coesione europea apprezzato dai mercati, che potrebbe anche abbassare il costo del debito italiano.
La nostra diagnosi: niente schizofrenia, solo troppi film
La cosa più inquietante in tutto ciò, è che il dibattito che non è mai entrato nel merito né della riforma e né proprio di cosa sia il Mes. Piuttosto è consistito in dichiarazioni vaghe e accuse di incoerenza e di falsità.
Il risultato della diagnosi, quindi, offre una buona e una cattiva notizia: la buona è che non siamo in preda a una psicosi che ci fa pensare di essere perseguitati o ci fa avere delle allucinazioni; la cattiva è che abbiamo visto (e ci siamo fatti) troppi film e ora ci piace immedesimarci nelle storie che noi stessi abbiamo creato.
È questo ciò che è successo ai partiti che per anni hanno rappresentato il Mes come un l’orco brutto e cattivo delle favole, una sciagura che avrebbe rovinato le vite delle persone in Italia, a meno che non ci fossero stati loro, gli intrepidi cavalieri, a difenderli eroicamente.
La conseguenza è che abbiamo passato quasi dodici anni a creare e alimentare una realtà fantastica e parallela, nella cui trama siamo rimasti intrappolati.
Poco importa ciò che si è già detto sull’effettivo impatto della riforma, poco importa che lo stesso MEF valutasse positivamente la sua ratifica, poco importa che la mancata ratifica metta in imbarazzo il nostro governo in Europa, mini la credibilità del nostro Paese, indebolisca la sua forza negoziale. La coerenza con la fantasia è stata giudicata più importante della coerenza con la realtà.
In questo tempo l’unico obiettivo dei politici e dei media sono stati la costruzione e la difesa del consenso. Sia chiaro, la democrazia si fonda sul consenso, ma il problema sorge nel momento in cui questo si fonda sulla mistificazione e distorsione totale della realtà. Il dibattito sul Mes si è fondato su aria fritta, fantasie pure, costrutti propagandistici che non hanno alcun fondamento nella realtà.
Il paradosso è servito: l’unico modo di non contraddire la trama del film, per cui il Mes era contrario all’interesse dell’Italia è stato fare ciò che era contrario all’interesse dell’Italia.
Quel che lascia amareggiati, però, non è solo questo.
Si sarebbe potuta cogliere l’occasione della riforma, di cui si discute da inizio anno, per riuscire finalmente a decostruire la fantasia. Lo avrebbero potuto fare i politici, ma soprattutto lo avrebbero potuto fare i media. Invece si è scelto, ancora una volta, di non fare informazione sul merito della questione, ma invece di raccontare la politica come fosse un film.
La narrazione politica del Mes è stato puro intrattenimento, un bel film guardare e commentare, su cui prendere posizione, sperare che vinca uno o l’altro protagonista. Il tutto rigorosamente da spettatori esterni, senza poterne cambiare la trama, senza che importi la verosimiglianza di ciò che si vede, purché intrattenga, senza pensare che le decisioni prese hanno ripercussioni sulla realtà.
E la trama è così appassionante che anche i cronisti politici diventano critici cinematografici: descrivono, raccontano, interpretano, valutano ciò che vedono, si scontrano tra loro, fanno commenti graffianti oppure di apprezzamento, ma non si preoccupano di confrontare la narrazione fantastica e la realtà.
E ora?
Rimane solo una domanda da porsi: dato che il veto italiano impedisce di approvare la riforma, cosa succede ora?
Le possibilità sono essenzialmente tre: la prima è che si torni al tavolo delle trattative per trovare un nuovo accordo politico in sede europea, che andrebbe nuovamente ratificata da tutti i 20 membri dell’Eurozona. Eppure, pensare che si inneschi nuovamente tutto l’iter di trattative, in più legittimando il capriccio italiano e rischiando che anche altri Stati inizino a usare il Mes per tenere in ostaggio i partner europei, è quantomeno irrealistico.
Una seconda possibilità è che la riforma si areni e finisca nel dimenticatoio. Anche questo scenario è difficile immaginare che si verifichi. La riforma del Mes è troppo importante, almeno per due motivi.
Intanto l’economia mondiale è sempre più fragile (solo in quindici anni ha affrontato tre grandi crisi – grande recessione, debiti sovrani e pandemia) e la riforma del Mes, oltre a intervenire sul SFR e sul CAC, prevede alcuni meccanismi molto tecnici per rendere più efficiente il salvataggio degli Stati con i soldi del fondo.
Inoltre, la riforma completa l’unione bancaria e rafforza le garanzie per evitare il crollo del sistema bancario, che anche si è dimostrato potenzialmente fragile. Non solo la crisi del 2008, ma anche il recente fallimento della Silicon Valley Bank in America seguito del salvataggio della Credit Suisse, con il timore di un contagio in tutta Europa, che poi non si è verificato, rendono questa riforma indispensabile.
L’unica alternativa che rimane è che il Parlamento voti a favore della ratifica della riforma nel 2024. In base al regolamento della Camera (art.72), devono passare almeno sei Mesi prima che possa essere esaminata una nuova proposta di legge per ratificare la riforma del Mes.
Tra l’altro, i tempi sarebbero propizi. Uno dei motivi dell’imbarazzo del Governo era la campagna elettorale che sta per iniziare, in vista delle europee di giugno 2024, con il Mes che rappresenta un tema troppo sensibile e su cui sarebbe stato facile perdere consenso. La nuova legge di ratifica, invece, sarebbe discussa immediatamente dopo le elezioni.
A costo di essere smentiti in futuro, non si fa fatica a immaginare uno scenario in cui una nuova legge identica nella sostanza a quella bocciata, ma diversa nella forma, come magari prevedendo l’obbligo di un passaggio parlamentare per eventuali decisioni di ricorso al Mes da parte dell’Italia o nel caso di richiesta di versamento del capitale sottoscritto (tutti obblighi di fatto già necessari poiché va votato uno scostamento al bilancio, ma usati come alibi per giustificare la bocciatura).
Un copione già scritto insomma, con l’introduzione di qualche finta novità, per rivendicare ancora una volta di aver difeso la Patria dall’attacco dei mulini a vento.
E vissero tutti felici e contenti.
di Alessandro Ceschel
[immagine di copertina generata con Imagen AI]